Noi furlans alle prese con la povertà. Chi comanda si è dimenticato di noi perché la politica chiede ma non dà
Lavoro in ripresa, aziende sempre più votate all’export che portano nuova ricchezza in regione, famiglie che tornano a spendere, crisi ormai superata. E’ questo il messaggio che una parte della politica sta cercando di trasmetterci in questa lunga campagna elettorale. Un messaggio di fiducia che deve certificare la bontà e l’efficacia delle misure e delle scelte di questi ultimi anni di governo.
Purtroppo però non bastano le belle parole per uscire dal tunnel. Ci rendiamo conto che questo misure erano e sono insufficienti, che i risultati sbandierati non erano stati raggiunti. La realtà, quella vera che tocchiamo con mano tutti i giorni, dice che la società friulana vive ancora in uno stato di enorme sofferenza.
Lavoro discontinuo, precario o del tutto assente per giovani e semigiovani, senza nessuna prospettiva di miglioramento, anzi con l’incubo di una pensione inesistente; i più anziani schiacciati da riforme pensionistiche necessaria per i conti ma probabilmente esistenzialmente impossibili, perché lavorare fino a settant’anni è un assurdo e non solo per minatori e infermieri. Milioni di donne precarie oppure casalinghe. Disoccupati senza alcun reddito. E poi intere famiglie, e bambini, risucchiate sotto la soglia minima di povertà mentre centinaia di migliaia di giovani che lasciano il paese con la laurea in tasca.
Sono sempre più convinto che lo stato si è dimenticato di noi. La politica parla bene, soprattutto in questo periodo di elezioni, ma poi quello che importa, come sempre, è la poltrona, non il futuro. Fare carriera, arrivare nei posti che contano, nient’altro. Una poltica sempre più lontana dal cittadino e scollata dalla realtà. Una politica che si fa vedere in giro, nei bar, nei mercati, nei luoghi di aggregazione solo perché ora deve raccimolare qualche voto. Apriamo gli occhi, rendiamoci conto che o arriva una svolta o le cose andranno sempre peggio.
Qualcuno mi dirà che sono un populista, termine che va molto di moda in questi tempi. Sì lo sono, perché tengo a cuore la mia gente e la mia terra e per il mio Friuli voglio un futuro sereno. Pretendo troppo? Non credo. Prima i friulani e non è una questione di razzismo. Cosa volete che c’entri il razzismo quando ogni giorno sento sempre più furlans sono alle prese con la povertà. E se non fossimo sempre più poveri, ma ricchi di lavoro e di welfare, non ci sentiremmo di sicuro minacciati da qualche migrante da ospitare alla Cavarzerani.
“Come fai a spiegare a un cinquantenne che ha un figlio di venti che non riesce a trovare lavoro e al quale lo Stato, da disoccupato, non dà nessun sussidio, neanche un euro, che invece per chi arriva sono stanziati dei soldi per sussidi, alloggi, cibo e quant’altro? Certo che l’Italia è diventata più razzista, ma lo è diventata per fame” ha scritto qualche giorno fa Elisabetta Ambrosi del Fatto Quotidiano. Pensiero che condivido pienamente.
Allora cosa deve fare chi comanda? Non solo togliere ma dare. Perché in questi anni è stato tolto tanto. Ci sono stati tolti diritti sul lavoro, sulle pensioni. Ci sono stati tolti soldi in tasca, perché lo Stato ci ha chiesto di fare sacrifici, di pagare più tasse, di dividere quel poco che abbiamo per pagare errori fatti da altri. E cosa è stato effettivamente dato? Me lo chiedo spesso ma non mi viene nulla in mente. Perché? Perché a me nessuno ha dato nulla.
Per fortuna siamo che gente che non molla mai, abbiamo la tempra alpina nel sangue, abbiamo sconfitto da soli un terremoto. Per fortuna siamo friulani e nelle difficoltà ci rimbocchiamo le maniche. Ma questa volta serve un aiuto.