Consiglieri comunali critici sulla riforma degli enti locali, il dato emerge dal sondaggio “Voci dal Territorio”
Oggi a palazzo Belgrado la presentazione dei risultati dell’indagine
È un giudizio critico sulla riforma degli enti locali che ha abolito le Province e istituito le Uti quello espresso dai consiglieri comunali della Provincia di Udine che hanno aderito al questionario “Voci dal Territorio” sostenuto da palazzo Belgrado e realizzato da “Poliarchia – Libera Associazione di Politica e Cultura”. La quinta sezione della ricerca, mirata alla valutazione delle politiche di riforma perseguite negli ultimi anni dalla Regione, restituisce un parere sfavorevole sulla legge 26/2014 dal 51,3% degli amministratori locali. E anche tra i sostenitori (40%) si ritengono opportuni degli aggiustamenti. Lo strumento della riforma, inoltre, viene considerato eccessivamente rigido (48,39%). Il 31,18% dei consiglieri avrebbe preferito una riforma che ponesse al centro la dimensione provinciale o, in alternativa, avesse mantenuto invariato il previgente assetto a conferma di come la Provincia di Udine goda ancora di un diffuso consenso tra le amministrazioni comunali.
Finalizzata ad indagare il profilo del consigliere (età media, residenza, livello d’istruzione), il suo percorso politico dal primissimo coinvolgimento fino all’incarico attivo, al ruolo del Consiglio comunale, l’indagine è stata presentata oggi – martedì 13 marzo – dal presidente della Provincia di Udine Pietro Fontanini insieme alla presidente dell’associazione “Poliarchia – Libera Associazione di Politica e Cultura” Alessandra Panama, ad Alberto Vanin vicepresidente e a Marco Cucchini, estensore del questionario, al presidente del Consiglio provinciale Fabrizio Pitton e per la Giunta il vicepresidente Franco Mattiussi e gli assessori Elisa Asia Battaglia e Marco Quai.
Fontanini, in particolare, ha rimarcato gli esiti del questionario per la parte relativa alla riforma degli enti locali che ha ridimensionato il ruolo dei consigli comunali in quanto le decisioni vengono adottate in seno alle Uti (in grande difficoltà operativa), e in contrasto con il principio della sussidiarietà in base al quale i provvedimenti devono essere adottati dagli organi più vicini ai cittadini. Aspetti che la Provincia di Udine aveva denunciato attraverso lo studio commissionato alla Cgia di Mestre e la ricerca del professor Mario Bertolissi, ma “la giunta regionale, in particolare la presidente Serracchiani, ha agito in maniera dura nei nostri confronti perché rappresentiamo una forza politica opposta alla sua”.
Il presidente del Consiglio provinciale Fabrizio Pitton ha ricordato l’impegno dell’Ente nella discussione e nel confronto sulla legge 26/2014 avviato fin dalla prima bozza della riforma. “Questa ricerca pone al centro i consiglieri comunali che sono anelli fondamentali della democrazia. Purtroppo la riforma delle Uti rompe il legame Comune-territorio perché tutto viene deciso nelle assemblee di questi nuovi enti intermedi, altro rispetto al livello comunale” ha affermato Pitton.
Sono stati 432 i questionari somministrati nel mese di novembre 2017 ai consiglieri di 26 amministrazioni della Provincia di Udine rappresentativi per collocazione geografica, fascia di popolazione e orientamento politico. 168 le risposte ricevute entro il 31 gennaio 2018, circa il 39%. “Un dato soddisfacente – affermano i ricercatori – considerato che chi risponde a questo genere di ricerche è la parte più consapevole e sensibile dell’universo di riferimento”. Il questionario è stato suddiviso in 5 sezioni per un totale di 25 domande. La prima parte riguardava il quadro anagrafico: i consiglieri comunali hanno per la maggior parte un’età compresa tra i 46 e i 65 anni e un grado di scolarizzazione elevato in grado di rispondere ad una esigenza di preparazione particolarmente sentita con il venire meno delle tradizionali “agenzie di formazione politica” e con l’aumento di competenze in capo al sistema degli enti locali. Da segnalare la debolezza della presenza giovanile.
La seconda sezione è relativa alle eventuali attività politiche svolte precedentemente al conseguimento del mandato popolare cercando di verificare il processo di adesione alla lista politica nonché le modalità e le caratteristiche del sostegno politico ottenuto. Emerge che nell’86,06% dei casi i consiglieri hanno svolto attività politica o sociale prima dell’elezione in Consiglio, impegno che comunque rappresenta un passaggio dall’impegno sociale a quello politico. Si rileva, inoltre, un approccio “depoliticizzato” all’attività politica locale a favore invece di un lavoro per il territorio e la comunità nonché un’esperienza di crescita personale.
Dalla terza sezione emerge il ruolo di marginalità delle assemblee consiliari e conseguentemente la necessità/difficoltà di ridefinirne il ruolo. Sono sottostimate infatti le funzioni di indirizzo politico generale e di controllo, così come per la funzione normativa in materia statutaria e regolamentare (0,95%). In generale la lettura sul ruolo del Consiglio comunale è abbastanza critica. Tra i correttivi per migliorare l’efficacia dei lavori consiliari l’attribuzione della presidenza del Consiglio a una personalità diversa da quella del sindaco e il rafforzamento delle commissioni. Opzioni che valorizzerebbero le funzioni in materia statuaria e regolamentare dell’organo assembleare medesimo.
Per quanto riguarda le valutazioni sui Comuni nel sistema di governo locale, le competenze attribuite ai municipi sono considerate adeguate (63,79%) ma il tema del collocamento complessivo dell’ente comunale non può prescindere dal quadro delle riforme sul governo locale attuate negli ultimi anni.
Alcune osservazioni, in chiusura da parte del professor Cucchini che, nel ricordare come lo studio si inserisca in una riflessione che l’associazione Poliarchia sta conducendo sul ruolo delle assemblee, ha chiarito come l’Italia è il paese con il minor numero di comuni per numero di abitanti e le Province non sopravvivono solo sul nostro territorio (eccetto in Fvg) ma fanno parte dell’architettura istituzionale di paesi Europei come la Francia, la Germania, la Spagna e la Polonia sfatando così il luogo comune sulla necessità di allineare l’ordinamento italiano e regionale all’Europa.