L’evoluzione del vino passa dal tappo
Di Adriano Del Fabro
La longevità e l’evoluzione di un vino nel tempo, dipendono molto dalla qualità del tappo. Lo hanno sottolineato i “Cenatori a vita” (produttori, giornalisti, appassionati), riuniti alla Tavernetta del Castello di Spessa per la degustazione annuale dei vini bianchi longevi.
Tra un bicchiere e l’altro, separati dalle portate del menù organizzato dal bravissimo Tonino Venica, Dario Raccaro ha messo in evidenza proprio l’importanza delle chiusure delle bottiglie per far sì che i vini, non solo si conservino, ma si evolvano nel tempo. La sfida oggi, ha proseguito Raccaro, è quella di evitare i rischi derivanti dall’uso del tradizionale tappo di sughero. E si può fare utilizzando i tappi controllati che sono stati messi in commercio, recentemente, da uno dei principali player di mercato. Sono considerati talmente sicuri che il produttore garantisce il rimborso del costo della bottiglia qualora, eventualmente, contenesse un vino che “sa di tappo”.
Proprio partendo da queste considerazioni si è sviluppato il dialogo fra i commensali, sotto la regia del padrone di casa, Loretto Pali e dei mescitori, Giulio Colomba e Ugo Ongaretto, sulla bontà dei vini in degustazioni, nonostante fossero bianchi, di vita ultradecennale e imbottigliati all’epoca con le tecniche di allora e senza pensare e progettare minimamente la loro eventuale longevità.
Nei calici, sono passati 13 vini, in ordine di età crescente. Si è partiti dal Collio Bianco 2008 di Dario Raccaro (con un bel colore e un gusto ottimo), per proseguire con il Braide Alte di Livon, pari annata, Igt Venezia Giulia (con un aroma mielato e un gusto pieno ed equilibrato); il Bianco 2007, Igt Venezia Giulia, Le Vigne di Zamò (profumato e beverino); il Collio Bianco 2006 di Toros (ancora fresco e di ulteriore durata); il Vintage Tunina del 2005 (unico della serata chiuso con tappo a vite), di Jermann, (con un bel colore, ottimi aromi e freschezza di bocca); il Pinot bianco del Collio 2006 del Castello di Spessa (beverino e dall’aroma delicato); il Tocai 2006 di Ronco Severo, nei Colli Orientali del Friuli (ramato e molto alcolico); il Bianco Broy 2004 del Collio, di Collavini (dal sapore pieno e colore carico); il Sauvignon del Collio 2004, di Renato Keber (caratterizzato da una certa morbidezza complessiva); la Malvasia del Carso 2000, di Kante (un po’ scarico); il Friulano del Collio 1999, di Vosca (un po’ stanco); l’ottimo Braide Alte 1996, di Livon (ancora bello pieno, liscio e fresco: una grande sorpresa!); la Ribolla gialla (novello) 1994, di Angoris (con ancora la sua bevibilità…), in chiusura.
Una grande serata che ha messo ulteriormente in luce le capacità dei nostri territori di produrre vini bianchi di notevole longevità (10 anni e più) che possono diventare il nuovo biglietto da visita della enologia regionale. Un luogo, però, dove manca ancora, fisicamente, la memoria vitivinicola con la conseguente necessità di intraprendere una strada per costruire un archivio dei vini regionali, tassello indispensabile a una utile e necessaria corretta azione di marketing.
Assolutamente valida anche la lista dei piatti proposta da Tonino, in abbinamento ai vini: seppie spadellate con funghi porcini; spaghettoni Benedetto Cavalieri al pomodoro affumicato e anguilla marinata alla soia; lombatello grigliato con melanzane, pannocchiette, humus e olio extravergine d’oliva al coriandolo.
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