A tu per tu con Dino Persello
“Porto il Friuli nel mondo”
E’ questo l’obiettivo che si è prefissato Dino Persello, uno degli uomini più illustri del panorama teatrale friulano, un vero e proprio artigiano della parola e del teatro, come ama lui definirsi. Originario di Dignano, Persello, ha portato i suoi spettacoli in giro per l’Italia, l’Europa e perfino anche oltre Oltreoceano, toccando il Canada e l’Australia, quei luoghi dove più forte è la presenza di emigranti friulani. Un modo per far sentire la propria vicinanza a quelle persone che sono state costrette a lasciare la propria casa per andare a cercare fortuna altrove, un modo per mantenere sempre vivi ricordi e legami con la terra natia. Un’artista itinerante, instancabile, pronto sempre, in modo semplice e diretto, ad emozionare raccontando le storie del Friuli e della sua gente.
Dell’intensa esperienza australiana, presso il Fogolâr Furlan di Adelaide dove ha portato il suo ultimo spettacolo, “Il dovere e la ragione”, che racconta la storia di un cecchino nelle trincee di Sella Nevea durante la Prima guerra mondiale, per celebrare il 60esimo anno di fondazione, ci ha parlato in questa toccante intervista.
Quello in Australia è stato per lei un viaggio ricco di significati, anche soprattutto dal punto di vista personale. Al suo ritorno infatti ha perso un amico che con lei aveva condiviso questo percorso, il compositore Marco Rossi.
“Ho conosciuto Marco, personaggio ed artista di una grandezza straordinaria, cresciuto all’interno del teatro Piccolo di Milano al fianco di Giorgio Streller, ai tempi della mia esperienza nella Pro Loco regionale. Con lui è nata fin da subito una collaborazione intensa. Mi ha accompagnato in moltissimi miei spettacoli, curando sempre la parte musicale. Un musicista dalle doti uniche, soprattutto dal punto di vista umano, con il quale nel tempo si era costruito un legame importante. Un mese dopo che siamo tornati dall’Australia, dove insieme abbiamo presentato lo spettacolo in ricordo della Grande Guerra, è mancato improvvisamente. Ho perso non soltanto un collega ma molto di più, un vero e proprio fratello. Ora sento questa mancanza dentro di me, un vuoto che resterà per sempre incolmabile. Il suo ricordo però vivrà ancora nelle mie opere grazie anche all’apporto di suo figlio, Teo Luca, anche lui musicista eccezionale. Sarà lui a continuare con me l’opera del padre e questo mi riempie il cuore”.
Cosa le è rimasto di questo viaggio?
“Tante emozioni e tanto affetto. L’accoglienza che abbiamo ricevuto è stata davvero incredibile, un calore unico. Quando gli emigranti friulani poi mi hanno detto Salude il Friûl per me è stata una gioia immensa. Vuol dire che il legame è ancora vivo, che quei valori che ci portiamo dentro fin dalla nascita sono ancora forti. Vedere le terze generazioni che ancora oggi conservano l’importanza della friulanità dei nonni è qualcosa di straordinario. Sono tornato in Friuli con la speranza che queste radici resteranno forti anche in futuro, questo è il dono più importante che potevo ricevere”.
Chi sono oggi i friulani d’Australia e come stanno?
“Della prima generazione, quella che è partita giovanissima dal Friuli per intraprendere il viaggio della speranza, sono rimasti ormai in pochi. Chi c’è ha oggi novant’anni. Si ricordano ancora però della loro infanzia, di quando andavano a rubare ciliegie, di quando giocavano a pallone all’oratorio o facevamo il bagno nel Tagliamento. Ho cercato di far rivivere quegli anni lontani attraverso i miei racconti. Una nostalgia positiva. E’ un onore vedere comunque che la nostra gente oggi è rispettata. Con la fatica, con il lavoro e con la correttezza si è saputa conquistare la stima degli australiani. Quella friulana è la comunità più considerata ed apprezzata e ciò per noi deve essere motivo di grande orgoglio. Il Friuli vive oggi soprattutto nei loro figli e nei loro nipoti. Sono soprattutto i giovani, la terza generazione, che vogliono scoprire le loro origini, che attraversano il mondo per visitare i luoghi dove i loro nonni sono nati. Sono loro adesso a conservare il valore della lingua e della cultura friulana”.
Si parla ancora friulano?
“Certamente. La loro lingua è pura, non contaminata. Usano parole che da noi sono cadute in disuso. Questa è una delle cose che mi ha maggiormente stupito. Andare in Australia e poter salutare dicendo mandi è qualcosa di veramente incredibile. Per loro la lingua è orgoglio, è identità, è appartenere ad una comunità. Non viene vista assolutamente come una cosa rozza ed arretrata come invece spesso accade da noi”.
Come si può mantenere questo legame con la Piccola Patria?
“Dobbiamo renderci conto che il tempo va avanti e che il mondo cambia. Facciamo parte del processo di globalizzazione ed è normale che veniamo assorbiti da una situazione di appiattimento. Sarebbe però un peccato mortale recidere ogni legame, per questo motivo anche esperienze come la mia possono contribuire a mantenere vivo l’interesse e l’amore verso il Friuli. A noi però spetta anche il dovere di mantenere viva la nostra terra. E’ indispensabile che i nostri paesi, che sono il telaio sul quale si regge la nostra comunità, non muoiano, altrimenti non ci sarà più nessun Friuli da portare in giro nel mondo. Devono essere i giovani a dare la svolta, a promuovere la terra friulana senza paura e a testa alta”.
Lei è anche l’autore dello spettacolo Jo i soi di Paîs. Che idea si è fatto, andando in giro paese per paese, del Friuli d’oggi?
“I nostri paesi sono in grande pericolo a causa di un declino aggregativo e di valori senza fine. In un momento di difficoltà economica e sociale come quello che stiamo attraversando io avevo la speranza che l’aggregazione avesse fatto uno scatto in avanti, invece si è affossata. Il rischio oggi è la morte della colonna portante del Friuli che sono propri i paesi stessi. La gente non va più in piazza, non si ritrova, si rinchiude su sé stessa, è pigra e disinteressata a tutto ciò che ha attorno. Bisogna ridare linfa alle nostre comunità, serve positività ed entusiasmo. Meno televisioni, smartphone, rapporti che sono soltanto virtuali e più rapporti umani veri. Se non c’è relazione vera non c’è vita. Mi auguro che si possa fare una riflessione. Io nel mio piccolo, con il mio spettacolo, sto cercando di farlo. Voglio smuovere gradualmente qualcosa nelle persone che vengono a vedermi”.
Dall’edizione cartacea de IL PAîS gente della nostra terra gennaio 2019