Quale futuro per le Dop regionali
La certificazione di origine da muro di difesa oggi rischia di rivelarsi una prigione per le imprese. Filipuzzi: “Bene ha fatto il Consorzio del San Daniele a modificare il disciplinare. Ora tocca al Montasio”
“Una certificazione di origine da muro di difesa rischia oggi di rivelarsi una prigione”. Sulla questione delle Dop e delle difficoltà che stanno affrontando interviene il presidente dell’agenzia di cluster regionale Agrifood Fvg, Claudio Filipuzzi. “Bene ha fatto il Consorzio del Prosciutto di San Daniele Dop, dimostrando capacità e coraggio, ad avviare la procedura per una revisione del proprio disciplinare di produzione” continua Filipuzzi, citando la grande novità per il prodotto bandiera del Friuli toccato dall’inchiesta giudiziaria sulla filnicola.iera sui
Va ricordato che il sistema di certificazione (Sgt, Dop, Igt) prevede imprese che vogliono esaltare un prodotto con precise caratteristiche; un disciplinare che identifica lungo tutta la filiera le caratteristiche che i produttori intendono garantire attraverso una serie di procedure predefinite; un Consorzio che raggruppa tali imprese con il ruolo di tutelare l’immagine e il marchio, predisporre il disciplinare e curare i rapporti istituzionali con i Ministeri e con l’Ue; un ente certificatore terzo cui è delegata l’attività di verifica adottando assieme al Consorzio in caso anche provvedimenti sanzionatori.
“Nei casi dell’ultimo anno che vanno dai formaggi, ai prosciutti e al vino – dichiara Filipuzzi – il meccanismo non ha funzionato e ha dimostrato i suoi limiti sotto vari aspetti. Senza intervenire nel merito delle vicende giudiziarie, vanno sottolineati però due elementi.
Il primo elemento è dimensionale. Quanto più una produzione certificata aumenta i propri volumi tanto più è difficile tenere tutto sotto controllo. Allo stesso tempo l’aumento dei volumi porta con se l’esigenza di entrare su sistemi distributivi più ampi, come la grande distribuzione organizzata (Gdo) dove la pressione esercitata sui margini di guadagno aumenta anche a causa dell’allungamento della filiera (distributore, logistica, addetti agli acquisti, promozione commerciale…). D’altra parte i costi indotti dal sistema di certificazione sono tali che o si rimane piccoli (una speciality per pochi estimatori) oppure si cresce e si diventa grandi (una commodity apprezzata e conosciuta da molti). La situazione intermedia non è sostenibile.
Il secondo elemento è la staticità. Le certificazioni di origine che cristallizzano le caratteristiche dei prodotti e dei processi produttivi sono di per se sistemi ‘conservativi’. Ovvero negano a priori la reale possibilità di evolvere la produzione e il prodotto nel tempo identificando una tantum le condizioni ottimali. In realtà la tipologia della materia prima e le tecniche di trasformazione si evolvono nel tempo come anche le esigenze del consumatore. I prodotti ‘fotografati’ dai disciplinari sono già vecchi il giorno stesso in cui vengono marchiati.
Tutto questo si contestualizza oggi in un’offerta commerciale estremamente segmentata per mode e abitudini capaci di mutare rapidamente anche grazie ai social.
Quindi in ultima analisi le certificazioni divengono una chimera spingendo gli sforzi delle imprese per rimanere sul mercato non nel rinnovare l’offerta evolvendo e differenziando il prodotto ma nella riduzione ‘coatta’ dei costi di produzione”.
L’idea romantica quindi di un prodotto certificato prodotto come cento anni fa è bella sulla carta ma complessa nella pratica. Basti pensare all’utilizzo ‘tradizionale’ della calce nella stagionatura del prosciutto crudo oppure alla crosta nerofumo per i formaggi, tecniche oggi inconcepibili.
“La Commissione Europea – continua il presidente di Agrifood Fvg – ha cominciato negli ultimi anni a ragionare non tanto sulle specialità alimentari quanto piuttosto sul garantire entro il 2050 ai propri cittadini sufficiente cibo di qualità prodotto in maniera ambientalmente sostenibile. Le nostre imprese, quindi, devono saper andare oltre la nostalgia del passato ed evolvere il sistema agroalimentare sia nazionale sia locale accettando le sfide del futuro. Non dobbiamo abbandonare le produzioni tradizionali e quelle territoriali ma dobbiamo permettere loro di evolversi anche in una logica di mercato senza l’alibi di disciplinari. Questi non possono sono più essere considerati le mura di difesa contro i barbari che ci copiano i prodotti. Ora somigliano sempre più alle mura di una prigione”.
“Da qui il mio plauso al Consorzio del Prosciutto di San Daniele per essere stato capace di rivedere il proprio disciplinare. Operazione non facile visto che necessita l’accordo di tutti. È intenzionato a farlo anche il Consorzio Montasio, chiamato all’importante sfida di contribuire al rilancio del sistema lattiero-caseario del Friuli-Venezia Giulia, e speriamo che l’iter proceda celermente” conclude Filipuzzi.
Nella foto Claudio Filipuzzi