La malattia cronica una presenza continua
Il diabete una malattia dalle mille sfaccettature
La malattia cronica non ha come prospettiva la guarigione, ma diventa presenza continua insieme alla persona per tutto il tempo della vita.
La malattia ha la capacità di influenzare le funzioni fisiche, emotive, intellettuali, sociali e spirituali della persona affetta da cronicità, che, a sua volta, con l’aiuto degli operatori sanitari ha il compito di gestirne l’evoluzione per evitare o ritardare l’insorgenza delle possibili complicanze e soprattutto per non sentirsi vittima.
La malattia cronica può insorgere in qualsiasi momento, ad ogni età, coincidendo con una fase diversa della vita (Fig.1). La persona quindi dovrà attivare ed integrare nuovi comportamenti/atteggiamenti nella sua esistenza, per gestire al meglio la sua condizione.
Quando però la malattia cronica viene diagnosticata durante la fase dell’infanzia, nei primi anni di vita del bambino, saranno i genitori supportati dagli operatori sanitari, fino al periodo dell’adolescenza, a insegnare poco alla volta le caratteristiche della malattia e i comportamenti da mettere in atto.
I bambini infatti hanno bisogno di ricevere informazioni con un linguaggio diverso da quello utilizzato per gli adulti, che cambierà nei vari periodi della crescita.
Tutto questo dipenderà dallo stadio di sviluppo cognitivo emotivo che i bambini, i pre-adolescenti, gli adolescenti vivranno.
Il momento di passaggio dall’età pediatrica all’adolescenza è molto significativo, sia per i genitori che per gli adolescenti: definito come periodo di transizione in cui il giovane non è più un bambino, ma non è ancora un adulto. Egli si trova ad affrontare i compiti evolutivi: interrogarsi sul proprio corpo in trasformazione, gestire le nuove potenzialità di pensiero, immaginare una progettualità personale, affrontando tante difficoltà perché deve ridisegnare la mappa delle sue relazioni con gli adulti di sempre, spesso entrando in contrasto, mentre i genitori hanno la responsabilità di lasciare progressivamente il controllo dando fiducia al proprio figlio, sulla gestione della sua malattia.
Questa ultima operazione è spesso causa di conflitto, generando stati d’animo che non favoriscono comportamenti funzionali da parte dei figli sulla malattia e di conseguenza i rapporti familiari possono diventare tesi.
Quando un medico comunica una diagnosi di malattia cronica, come il diabete di tipo 1, la persona dovrà fare i conti prima di tutto con se stessa, con il suo sistema familiare, spesso anche con una società che non facilita l’accoglienza di una persona con patologia.
Nella testa dell’individuo compaiono le prime inquietudini: “Perché proprio a me! No, non è possibile. Ha sbagliato la diagnosi! Forse sta leggendo i risultati di un altro.”, e mentre il medico continua a parlare la sua voce diventa un sottofondo impreciso, perché l’attenzione è posta ai pensieri, mentre le sensazioni e le emozioni si confondono da una percezione imprecisa. Davanti alla notizia si sente congelato.
Questa è la fase dello shock e della Negazione.
Nella fase della rabbia, i pensieri nella testa cominciano a cambiare, le frasi che arrivano sono: “Dio mi ha punito. La colpa è tutta mia! La colpa è di mia madre, di mia moglie, del lavoro.” Si cerca ostinatamente un colpevole fuori o dentro di sé, alcuni si sentono vittima altri colpevoli, tutto questo può dipendere anche dalle strutture caratteriali individuali.
In questa fase, gli operatori sanitari, sono visti come interlocutori che non riescono a comprendere il dramma che si sta vivendo interiormente, con la conseguenza di non ascoltare fino in fondo le informazioni utili che stanno dando.
Il tempo passa, i pensieri si modificano, il dialogo interno si trasforma.
La persona affetta da diabete, comincerà a dirsi delle frasi migliori: “Nonostante tutto posso giocare ancora a pallone, posso avere figli, posso correre, posso laurearmi, posso permettermi di fare tutto quello che voglio, stando attenta/o ai comportamenti da mettere in atto per gestire la malattia.”
Si andrà dal team diabetologico con una motivazione diversa, un ascolto più attento per analizzare cosa è meglio fare, per continuare a vivere e manifestare i propri progetti di vita.
Le emozioni cominciano a cambiare, la speranza comincia a farsi strada, una nuova luce si prospetta.
Questa è la fase della negoziazione.
Arriva poi una ipoglicemia, la glicata tende a non abbassarsi, la glicemia sempre alta, lo stress aumenta e tutto nella testa ricomincia a muoversi in modo negativo, i pensieri tornano pesanti, il dialogo interno si trasforma in un giudice che afferma: “Non sei capace, non riuscirai mai, prima o poi non potrai fare quello che stai facendo!” Si rimette tutto in discussione.
Si prende contatto con la tristezza e la malinconia.
Questa è la fase della depressione dove le persone prendono atto definitivamente che non saranno più come prima, che il diabete sarà il loro compagno per la vita.
Si ritorna dagli operatori sanitari avviliti, sconsolati, la rabbia può riprendere il posto alla fiducia e alla speranza.
Al paziente rimane il tempo come risorsa fondamentale per fare dei cambiamenti di valore, per far succedere il miracolo dentro di sé.
Il diabete non ha nulla di positivo, ma sono importanti gli occhi di come la persona lo guarda. Egli impone regole, preparazione, grande senso di autocontrollo in svariati momenti della giornata.
Stabilisce un percorso per non andare fuori, anche se delle volte accade, poi ci sono gli imprevisti perché la vita si diverte, ma si rientra più forti di prima. Si riaccende la voglia di sfidarsi, di avere fiducia nelle proprie possibilità, di accettarsi per quello che si è e si ha, la motivazione si rinnova, rinasce l’amore verso se stessi.
I comportamenti allora diventano più consapevoli, i momenti di educazione terapeutica più partecipativi, l’autocontrollo uno strumento di guida alla gestione della malattia, l’alimentazione sarà più corretta, l’attività fisica si svolgerà comprendendone il senso, come anche la partecipazione alle attività associative come quelle svolte dallo Sweet-team che, nella regione Friuli Venezia Giulia, si dedica a persone con e senza diabete per favorirne la cultura, la socializzazione, aiutando le persone ad uscire dal quel senso di solitudine che si avverte. Questa è la fase della accettazione.
A tutto questo voglio aggiungere quanto sia fondamentale non identificarsi con la malattia. Le persone affette da cronicità se da principio si esprimono dicendo: “Sono malato”, nel tempo dovrebbero arrivare a dirsi: “Ho una malattia”.
Disidentificarsi dalla propria patologia è necessario per recuperare dal proprio “Essere” risorse e talenti. La malattia ha bisogno di azioni, deve essere gestita, ma non deve togliere la capacità di realizzare noi stessi nelle varie aree di vita. (Fig.2) Fig.2 Le aree della vita
Oggi i tempi, rispetto alla malattia diabetica sono cambiati, la ricerca scientifica ha fatto notevoli passi avanti, esistono infatti nuovi farmaci e nuove insuline facili da somministrare, con un profilo sempre più simile a quello fisiologico. Le tecnologie aiutano a sviluppare dispositivi per la somministrazione automatica di insulina senza più la necessità di iniezioni quotidiane, i diversi sistemi di monitoraggio della glicemia sono in grado di predirne l’andamento.
La telemedicina ha fatto passi avanti nella gestione del diabete per facilitare la diagnosi, il monitoraggio e la gestione della malattia.
Diversi studi, infatti, dimostrano la possibilità di ottenere risultati comparabili a quelli ottenuti con protocolli tradizionali.
Inoltre, non possiamo dimenticare le App introdotte sulla rete da scaricare per l’educazione terapeutica, per supportare lo stile di vita, per integrare dati da altri strumenti che possono generare grafici o parametri metabolici che possono essere condivisi direttamente con il medico.
Inoltre, esistono App per consentire di tenere una sorta di diario on-line, per una alimentazione che tenga conto della conta dei carboidrati, per l’attività fisica, per condividere con gli amici i progressi che si stanno raggiungendo.
In sintesi, possiamo affermare che la persona affetta da cronicità acquisisce “quattro saperi”, che sono:
SAPERE delle conoscenze, acquisizioni scientifiche che sono alla base della malattia, concetti di alimentazione, stili di vita, di device, di penne e altro
SAPER FARE, l’individuo dovrà mettere in atto comportamenti atti a prevenire le complicanze ad apprende l’autocontrollo, a calibrare l’insulina, a monitorare i dati, a fare un diario, a svolgere attività fisica, attuare una sana alimentazione.
SAPER ESSERE, la persona dovrà accettare ed integrare gli aspetti cognitivi ed emotivi, riguardo al proprio diabete affinché possa arrivare ad una profonda accettazione di sé.
Tutto questo per raggiungere il SAPER VIVERE al meglio la propria esistenza.
In tutto questo l’atteggiamento mentale, definito “motore che sostiene”, deve essere allenato nella prassi quotidiana.
Avere un atteggiamento mentale positivo significa trarre qualcosa di favorevole e di utile da tutto ciò che succede nella vita, soprattutto quando si possono manifestare eventi avversi, come una malattia, la quale riesce a mettere in crisi aspettative, progetti e programmi.
Noi, all’interno del progetto “Soul in action for happy solutions” legato alla crescita e allo sviluppo personale, facciamo conoscere in una prima fase le caratteristiche peculiari di un atteggiamento mentale pro-attivo, affinché le persone possano interiorizzare e farle proprie, queste sono: CONSAPEVOLEZZA, lo stato mentale che permette di stare nel qui e ora, perché le azioni si possano svolgere nel momento presente.
I pensieri spesso sono rivolti al futuro o al passato e così, senza rendersi conto, si attivano gli automatismi sia di tipo comportamentali che emotivi.
INTEGRITA’ consiste di avere principi morali sani, ai quali non si va mai contro, ma lasciano spazio alla propria crescita e quella degli altri.
L’integrità sostiene l’affermazione di sé, l’assertività, l’autostima, il self-control.
RESILIENZA essa ci permette di incassare i colpi che la vita propone, attiva risorse interne come il coraggio, la forza, la determinazione riuscendo a rialzarsi più forti di prima. Quando “allenata” la resilienza ci permette di affrontare situazione che sappiamo esser complicate con uno stato di “calma attiva” funzionale a quella situazione.
ACCETTAZIONE permette di accogliere le situazioni anche quelle più difficili senza colpevolizzarsi o condannare gli altri, cercando di rimanere aperti all’apprendimento che l’esperienza propone senza farsi risucchiare dalle emozioni negative.
OTTIMISMO fa bene alla mente e al corpo. Permette di attivare azioni positive, senza ignorare i problemi, attraversando le situazioni con fiducia e speranza. Esso è sostenuto da una forte credenza di potercela fare. E’ pertanto uno “stile esplicativo” che permette nelle situazioni più complesse di darne un significato senza creare super-generalizzazioni, confinandole in uno spazio temporaneo e fisico specifici e senza identificarsi con esse.
GRATITUDINE, avere la capacità di rendere grazie a tutto quello che si è, si ha e si fa anche nei momenti difficili, questo atteggiamento favorisce la leggerezza, un alto stato
energetico/emozionale, generando ben-Essere psico fisico.
Si passa poi alla fase dei suggerimenti per incrementare e interiorizzare le diverse caratteristiche sopra elencate, solitamente esse sono:
scegliere dei contesti rilassanti dove trascorrere il tempo con se stessi, possono essere luoghi come: mare, montagna, collina.
Gli spazi consueti, che ci accolgono nella prassi quotidiana, che siano puliti, ordinati, arricchiti di piante, immagini piacevoli, luci, tinte con toni che possono far sentire bene. Le ricerche ormai hanno dimostrato che gli ambienti con i suoi colori, possono incidere sugli gli stati d’animo delle persone.
Attivare un dialogo interno, fondamentale cosa e come parliamo a noi stessi per atteggiamento mentale positivo, la semantica può infatti influenzare la nostra fisiologia: quando sentiamo di perdere energia possiamo cambiare parole e sviluppare pensieri di sostegno (es. la prossima volta andrà meglio, ce la posso fare, ho capacità e talento).
Scegliere le persone con cui trascorrere il tempo libero. Avvicinarsi a persone positive, allontanare quelle tossiche. E’ importante scegliere un mentore, un punto di riferimento che ci aiuti a sviluppare risorse e potenzialità per progredire nel sentiero della vita.
Nella terza fase si presentano tutte quelle attività che favoriscono benessere e attivano i processi biochimici legati ai neurotrasmettitori presenti nel cervello, che sono essenziali per stare bene, come: la serotonina, la dopamina, l’ossitocina, generando una diminuzione dello stress e del suo ormone il cortisolo, che quando in eccesso ha un effetto negativo sulla salute, sul diabete.
Le attività proposte sono: la meditazione, la mindfulness, la visualizzazione, gli esercizi sulla gratitudine, lo yoga tradizionale, lo yoga della risata, la biomusica, la coerenza cardiaca.
Anche le persone affette da diabete possono allenarsi, a tutto questo, per favorire un percorso che si concentri sulle cose veramente utile alla propria esistenza, evitando di cadere nelle cose vane,
Gli ingredienti da mettere in gioco sono molti per gestire una malattia cronica, il diabete scandisce i ritmi, autodisciplina, impone coraggio, forza, costanza, fermezza, tutte queste risorse però appartengono alle persone che in questo modo possono fare la differenza.
Quindi è sempre bene ricordare che “Il diabete teme chi fa sport” e “chi si vuole bene”
Concludo con una favola indiana:
“In India, un portatore d’acqua aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso alle estremità di un palo che portava sulle spalle.
Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l’altro vaso era perfetto. Alla fine della lunga camminata che l’uomo faceva dal ruscello verso casa, il vaso integro arrivava colmo di tutta l’acqua raccolta, mentre quello crepato ne conteneva ormai più poca. Questo andò avanti per anni. Naturalmente, il vaso perfetto era ideale per il compito per cui era stato costruito e orgoglioso dei propri risultati; viceversa, il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto, e si sentiva un miserabile fallito perché era in grado di compiere solo parte del suo compito, così un giorno decise di parlare al portatore d’acqua dicendogli:
“Mi vergogno di me stesso, e voglio scusarmi con te. Sono stato in grado di fornire solo la metà del mio carico, perché a causa di questa crepa nel mio fianco tutta l’acqua se ne esce durante tutta la strada fino a casa tua. A causa dei miei difetti, non ottieni pieno valore dai tuoi sforzi “.
Il portatore d’acqua disse allora al vaso: “Hai notato che c’erano solo fiori dalla tua parte del sentiero, ma non dalla parte dell’altro vaso? Ho sempre saputo del tuo difetto, e così ho piantato semi di fiori lungo il sentiero dal tuo lato e, ogni giorno, mentre tornavamo, tu li annaffiavi. Per anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la mia tavola e, senza il tuo essere semplicemente come sei, non ci sarebbero quelle bellezze ad abbellire la mia casa “.
Dott.ssa Anna Ercoli
Consulente Gruppo Psicologia e Diabete AMD Associazione Medici Diabetologi
Dott. Andrea Jotti
Consulente, Formatore ad approccio integrato
Responsabili di Progetto “Soul in Action for Happy Solutions”
RUBRICA A CURA DI Sweet Team Aniad FVG www.sweetteam.fvg.it oppure su Facebook: sweetteamfvg
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da IL PAîS gente della nostra terra edizione cartacea Settembre 2019
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