Le tradizioni del Natale in Friuli
Il Natale è forse una delle feste più amate dell’anno. Oltre al significato cristiano, a contribuire al suo fascino ci sono anche le tradizioni, più o meno antiche, che costellano il mese di dicembre.
Alcune di queste sono state dimenticate con il passare del tempo, altre invece sono sopravvissute fino ai giorni nostri, conservando le tracce delle memorie del passato. Anche il Friuli è ricco di storie e leggende natalizie, che si traducono in appuntamenti attesi ogni anno. Dalla Carnia a Cividale, fino ad Aquileia, sono numerose le ricorrenze tradizionali di questo dicembre. Si parte dalla notte tra il 5 e il 6 dicembre, giorno in cui si festeggia San Nicolò, o San Nicola, vescovo di Myra. La tradizione, ancora viva nelle zone montuose delle Alpi (Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia), vuole che il santo, a piedi o su un carro, porti piccoli doni o dolciumi agli abitanti dei paesi, e in particolare ai bambini.
Ma questa figura, che tradizionalmente si mostra con una folta barba bianca, è legata alle presenze mostruose dei Krampus, esseri demoniaci con fattezze animalesche. Una maschera di legno con lunghe corna, pelli, zoccoli di caprone e campanacci.
Sono queste le principali caratteristiche dei Krampus, che ancora oggi in numerosi paesi della Carnia spaventano non solo i bambini “cattivi”, ma tutti coloro che partecipano a questa festa folklorica. Si dice che questa usanza risalga addirittura al periodo precristiano, e risulta essere attestata almeno dal VI-VII secolo d.C.
L’origine sembra ancora avvolta nel mistero, anche se sono stati riconosciuti dei legami con il solstizio d’inverno.
D’altronde è lo stesso giorno di Natale ad avere delle ascendenze pagane. Prima della natività di Cristo, infatti, c’è memoria di numerosi riti legati alla tradizione popolare e contadina. È al 25 dicembre che risale nel calendario romano il Dies Natalis Solis Invicti, la festa dedicata alla nascita del Sole, identificato con il dio Mitra.
Questa ricorrenza, istituita soltanto a partire dal III secolo d.C., non solo si collegava al solstizio invernale, una ricorrenza da sempre ricca di significati, ma si sposava perfettamente ad un immaginario cristologico incentrato sul sole.
E al culto atavico del Dio-Sole sembra ricollegarsi anche un’altra tradizione friulana, quella del ceppo natalizio (in dialetto zoc di Nàdal o Nadalin).
Si tratta di un rito interamente familiare, che si svolge attorno al focolare domestico (fogolâr) con l’accensione del ceppo natalizio, tradizionalmente di faggio, quercia o gelso. Il nadalin viene acceso prima della messa della vigilia dal membro della famiglia più giovane, mentre è quello più anziano che custodirà il focolare fino all’Epifania. Se il fuoco rimane acceso, allora l’anno venturo sarà fortunato.
Fa invece parte del rito aquileiese la Novena di Natale, che inizia nove giorni prima di Natale con il canto del Missus, tratto dal brano evangelico dell’Annunciazione.
Si arriva così all’Epifania, che in Friuli si manifesta soprattutto con l’accensione del Pignarûl, uno dei riti più antichi del Friuli.
I falò propiziatori di inizio anno ricorrono in molte culture e tradizioni e hanno origini antichissime.
Sembra infatti che il Pignarûl affondi le proprie radici in un’epoca precristiana, risalendo all’adorazione di Beleno (o Belanu), divinità proto-celtica della luce. Adorata in seguito anche dai Celti, questa divinità esercitava la propria influenza sul sole e di conseguenza sull’agricoltura e sulle attività umane ad essa collegate. Per questo riti analoghi si ritrovano soprattutto nelle zone rurali, da sempre strettamente connesse ai cicli naturali.
Così la morte annuale di Beleno era ricordata con antichi riti precristiani in cui si ritrova spesso la presenza di alberi sempreverdi, a simboleggiare la vita che continua in attesa della rinascita della luce.
Ancora oggi la fiamma del Pignarûl esprime speranza per il futuro.
Ad essere bruciato è infatti ciò che è vecchio e passato, mentre la direzione del fumo o delle faville è un prezioso presagio per il futuro.
Incentrato sul fuoco è anche il suggestivo rito delle cidulis, ancora oggi diffuso in diversi paesi della Carnia e di probabile ascendenza celtica. L’usanza vuole che i ragazzi del paese, dopo aver acceso un falò, lancino delle rotelle di legno (cidulis) alle quali viene dato fuoco.
Dicembre è quindi un mese ricco di suggestioni antiche, legate ad un’oscurità che raggiunge il suo culmine per poi lasciare di nuovo spazio alla luce.
Così, grazie a fuochi, doni e luci, anche gli uomini del XXI secolo affrontano il buio e il freddo dell’inverno.
Scritto da Sara Venchiarutti
IL PAîS Gente della nostra terra Dicembre 2019 edizione cartacea (https://ita.calameo.com/read/004769722fa7fdc43150d)