È giusto concedere gli arresti domiciliari a un reo confesso?
Gli arresti domiciliari sono da sempre un argomento che divide le persone: è giusto concedere gli arresti domiciliari a un reo confesso? Il caso che sicuramente è salito alla ribalta nella regione Friuli-Venezia Giulia e con eco in tutta Italia negli ultimi anni è stato quello di Mazzega, reo confesso dell’omicidio di Nadia Orlando. Nonostante il suo suicidio avvenuto subito dopo la sentenza di condanna della Corte di appello di Trieste, la stampa ha riaperto un dibattito sul quando e sul perché sia giusto concedere gli arresti domiciliari. Tante persone ritengono che un omicida reo confesso o un presunto omicida debba essere detenuto in carcere e non meriti di ricevere gli arresti domiciliari. La questione non è tuttavia così banale.
Innanzitutto, bisogna partire dal principio: cosa sono gli arresti domiciliari?
Gli arresti domiciliari sono una misura cautelare personale prevista dall’art. 284 c.p.p. e disposta dal giudice nei confronti di un determinato imputato nel caso in cui sussistano gravi indizi di colpevolezza ed altre esigenze cautelari. Essi consistono nel divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, da altro luogo di dimora privata, da un luogo pubblico di cura o di assistenza o da una casa-famiglia protetta. Il soggetto sottoposto a tale misura cautelare deve rimanere all’interno delle mura domestiche o di quelle degli altri siti di esecuzione della misura. In alcuni casi, non può utilizzare mezzi di comunicazione a distanza (ad esempio, telefoni cellulari, computer) e non può ricevere persone, ad eccezione di coloro che abitano con lui o che lo assistono.
Per poter comprendere gli arresti domiciliari, è necessaria un’ulteriore considerazione, ovvero capire quali siano i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare personale.
Il codice penale stabilisce determinate condizioni generali per l’applicabilità delle misure cautelari personali: una determinata gravità del delitto contestato; la punibilità in concreto del delitto, vista come condizione negativa e la presenza di gravi indizi di colpevolezza.
La prima condizione prevede che può essere disposta una misura cautelare personale esclusivamente per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il reato di finanziamento illecito dei partiti.
La seconda condizione stabilisce che nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o scriminante (ad esempio, la legittima difesa) o di una causa di estinzione del reato (ad esempio, la prescrizione) ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata.
La terza condizione sancisce che sono necessari uno o più elementi probatori idonei a fondare una qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato e la presenza di indizi anche soltanto gravi.
Dopo aver analizzato le condizioni in relazione alle quali vengono applicate le misure cautelari personali, bisogna comprenderne lo scopo. Esse hanno lo scopo di evitare che il trascorrere del tempo possa provocare pericoli in merito:
- all’accertamento del reato (inquinamento probatorio);
- all’esecuzione della sentenza definitiva (fuga);
- alle conseguenze del reato o alla commissione di altri reati.
Il quadro appena esposto permette di ragionare, nel dettaglio, sui motivi per i quali a Mazzega siano stati concessi gli arresti domiciliari e non la custodia cautelare in carcere. O meglio, come mai la seconda è stata sostituita dalla prima. Innanzitutto, è da ricordare che, in alcuni casi, è possibile che il giudice che abbia disposto la custodia cautelare decida di applicare, in sua sostituzione, gli arresti domiciliari. E in questo caso, dato che sussistevano tutte le condizioni generali all’applicabilità delle misure cautelari, perché sostituire la custodia cautelare in carcere con una “meno invasiva”. La sostituzione è avvenuta dopo una rivolta in carcere contro l’imputato, durante la quale gli altri detenuti l’hanno insultato e minacciato. Il Tribunale Penale del Riesame di Trieste ha deciso quindi di confinarlo ai domiciliari con braccialetto elettronico, anche tanto che inizialmente per Mazzega si profilava il trasferimento in un altro penitenziario. Poi il Tribunale del Riesame di Trieste concede all’omicida di Nadia la scarcerazione, confermata anche dalla Corte di Cassazione, che lo confina ai domiciliari con braccialetto elettronico, in attesa del verdetto definitivo.
La Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione del Tribunale del Riesame di Trieste in relazione allo stato di incensuratezza dell’imputato, alla sua vita precedentemente irreprensibile e insuscettibile di rilievi negativi.
Sul rischio di recidiva, la stessa ha aggiunto che non risultavano “pericoli imminenti e di particolare rilevanza non fronteggiabili con gli arresti domiciliari”.
Queste riflessioni non hanno lo scopo di far cambiare idea su cosa sia giusto o sia sbagliato o di dimostrare che gli arresti domiciliari, sia nel caso di specie sia in generale, siano la scelta migliore, ma vogliono dimostrare che le scelte prese dai giudici sono frutto di un percorso volto a contemperare diverse esigenze e diversi scopi e che dette scelte non sono influenzate dall’empatia o dalle proprie opinioni.
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