Occupazione: persi 7mila lavoratori nel secondo trimestre in Fvg
Diminuisce il numero di occupati
In Friuli Venezia Giulia nel secondo trimestre del 2020 il numero di occupati si è attestato a 506.800, 7.000 unità in meno rispetto al trimestre precedente e quasi 12.000 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Come era prevedibile tale dinamica è stata fortemente influenzata dall’emergenza sanitaria, che ha interessato in particolare il periodo compreso tra marzo e maggio di quest’anno. Lo rende noto il ricercatore dell’Ires Fvg Alessandro Russo che ha rielaborato dati Istat.
Nel confronto tra primo e secondo trimestre dell’anno si può osservare che il calo ha interessato solo la componente femminile (-7.800 unità), mentre quella maschile mostra una sostanziale stabilità (+900). In effetti il settore dei servizi, dove le lavoratrici donne costituiscono la maggioranza, è stato fortemente colpito e si possono ricordare le difficoltà del comparto turistico (alberghi, ristoranti ma anche commercio), dove ad esempio una parte consistente dei contratti di lavoro stagionali non sono stati attivati. Gli ingenti interventi messi in campo dal governo, a partire dalla cassa integrazione (in regione sono state autorizzate oltre 38 milioni di ore nei primi sette mesi dell’anno) fino al blocco dei licenziamenti, hanno comunque contribuito a limitare le ricadute negative sull’occupazione.
Gli inattivi sono in aumento
Il numero di persone in cerca di occupazione in Fvg nel secondo trimestre del 2020 supera di poco le 29.000 unità, in diminuzione sia su base tendenziale (nello stesso periodo dello scorso anno era pari a 32.300) sia rispetto al trimestre precedente (33.400 unità). Il tasso di disoccupazione regionale nel secondo trimestre è sceso al 5,5%, ma per la componente femminile si attesta al 7,6%. Il numero di inattivi in età lavorativa (220.500 tra 15 e 64 anni), ossia coloro che non sono occupati e nemmeno sono attivamente alla ricerca di un nuovo impiego, risulta al contrario in forte aumento rispetto al primo trimestre dell’anno, quando era pari a 211.600 (quasi 9.000 unità in più). Per comprendere tali dinamiche contrapposte bisogna considerare che le limitazioni legate al periodo di lockdown hanno per mesi reso molto difficile, se non quasi impossibile, la ricerca di un’occupazione, per effetto dei maggiori carichi familiari (soprattutto per le donne con figli, a seguito della chiusura delle scuole), delle forti restrizioni agli spostamenti, del blocco dell’attività di molti settori produttivi.
Nota metodologica
La Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro condotta dall’Istat ha risentito degli ostacoli che l’emergenza sanitaria ha posto alla raccolta dei dati. L’Istat ha comunque sviluppato delle azioni correttive che hanno permesso di elaborare e diffondere i dati relativi al primo semestre 2020; l’Istituto sottolinea pertanto il carattere provvisorio di tali stime, che potranno subire revisioni sulla base di ulteriori analisi e della progressiva estensione e completamento delle informazioni disponibili.
In calo le aperture di Partite Iva
Nel primo semestre del 2020 in regione sono state aperte quasi 4.000 Partite Iva, un dato inferiore del 22,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso; a livello nazionale si è registrato un calo leggermente più accentuato (-23,9%). Tale dinamica negativa è stata condizionata pesantemente dall’emergenza sanitaria; in particolare nel mese di aprile la diminuzione è stata pari a -57,6% a livello regionale e -59,8% nel contesto italiano.
A livello territoriale il numero di nuove aperture di Partite Iva mostra una flessione superiore al 20% nelle province di Udine (-24,8%) e Pordenone (-28%), mentre in quelle di Trieste (-15,4%) e Gorizia (-13,4%) le variazioni sono molto più contenute. Si ricorda che i dati statistici relativi alle aperture delle nuove Partite Iva di imprese e professionisti sono quelli comunicati all’Amministrazione finanziaria e memorizzati nelle banche dati dell’Anagrafe Tributaria. Le informazioni riguardanti le chiusure non vengono invece pubblicate perché non significative da un punto di vista economico, in quanto al momento della cessazione dell’attività spesso i contribuenti non adempiono all’obbligo di chiusura della Partita Iva.
Indagine Ires su dati Istat