Le Giornate FAI compiono Trenta Primavere, in Fvg 18 aperture in 9 comuni
sabato 26 e domenica 27 marzo 2022
Sabato 26 e domenica 27 marzo tornano le Giornate FAI di Primavera, il più importante evento di piazza dedicato al patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese. Oltre 700 luoghi solitamente inaccessibili o poco conosciuti in 400 città saranno visitabili a contributo libero, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza sanitaria, grazie ai volontari di 350 Delegazioni e Gruppi FAI attivi in tutte le regioni (elenco dei luoghi aperti e modalità di partecipazione consultabili su www.giornatefai.it; per molti luoghi, soprattutto nelle grandi città, è consigliata la prenotazione online perché garantisce l’accesso alla visita).
Le Giornate FAI quest’anno compiono “trenta primavere”: dal 1993 a oggi, 14.090 luoghi di storia, arte e natura aperti in tutta Italia, visitati da oltre 11.600.000 di cittadini, grazie a 145.500 volontari e 330.000 studenti “Apprendisti Ciceroni”. Un traguardo esaltante, che tuttavia non potrà essere solo una festa. Nel pieno di una guerra che segna tragicamente la storia europea, non è il momento di festeggiare, né di invitare gli italiani a distrarsi nel puro godimento delle meraviglie del nostro Paese, ma piuttosto a concentrarsi sul significato e sul ruolo del patrimonio culturale che riflette la nostra identità, testimonia la nostra storia e rinsalda i valori del vivere civile. In cos’altro si incarna, del resto, l’identità di un popolo se non nella sua storia, nella cultura e nella tradizione? I monumenti, il paesaggio, le opere d’arte raccontano chi siamo a chi non ci conosce e alle generazioni presenti e future: il patrimonio culturale è come il patrimonio genetico di un popolo, che conserva a perenne memoria un codice di esperienze e valori condivisi su cui si fonda la nostra umanità.
Mai come quest’anno, allora, le Giornate FAI mostrano il loro più autentico spirito civico ed educativo, che è nella missione del FAI: visitare gli oltre 700 luoghi eccezionalmente aperti dai volontari del FAI sarà l’occasione per conoscere la nostra storia e riflettere su quanto può insegnarci per affrontare il presente e il futuro, perché ciò che siamo e che abbiamo non sia dato per scontato, ma sia compreso e apprezzato come esito di lunghi e talvolta drammatici trascorsi che ci accomunano come italiani, europei, e con l’umanità tutta. Proteggere, conservare e valorizzare il patrimonio culturale, aprendolo al pubblico e invitando tutti gli italiani a conoscerlo e frequentarlo: questa è la missione del FAI, che proprio in questi tempi bui, in queste Giornate FAI, trova un senso ancor più profondo e una funzione ancor più necessaria e urgente.
Il FAI, come istituzione della Repubblica, ha scelto di esprimere in maniera esplicita la vicinanza e la solidarietà con il popolo ucraino esponendo i colori della sua bandiera in tutta la comunicazione e nei Beni, ma la Fondazione vuole dare un contributo concreto e perciò si impegna formalmente a finanziare il recupero di un’opera d’arte del patrimonio culturale ucraino che sarà individuato non appena cesserà la guerra e sarà avviata la ricostruzione del Paese.
Chi deciderà di prendere parte alle Giornate FAI potrà offrire un contributo per sostenere la Fondazione. Ai partecipanti verrà suggerito un contributo non obbligatorio a partire da 3 euro e la donazione online su www.giornatefai.it consentirà, a chi lo volesse, di prenotare la propria visita; per molti luoghi, soprattutto nelle grandi città, la prenotazione online è consigliata per garantirsi l’accesso alla visita. Chi lo vorrà, potrà sostenere ulteriormente il FAI con contributi di importo maggiore oppure con l’iscrizione annuale, sottoscrivibile online o in piazza in occasione dell’evento (box in fondo per dettagli).
Elenco dei luoghi aperti, modalità di partecipazione e prenotazioni su www.giornatefai.it
IN FRIULI VENEZIA GIULIA
SAGRADO (GO)
ITINERARIO STORICO-NATURALISTICO S.MARTINO – M.TE S.MICHELE Piazza della Fontana, 1
L’itinerario parte da Piazza Fontana 1. La visita proposta è un itinerario a piedi in ambiente naturale ma su sentieri facili con una prima parte in salita (circa 100 mt di dislivello). Sono indicate calzature adeguate (scarpe da ginnastica, scarponcini). Sono disponibili zone di parcheggio nelle vie adiacenti alla piazza. Evitare di parcheggiare lungo la via di accesso al Mte San Michele o in prossimità del Museo del San Michele per favorire la viabilità automobilistica.
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI GORIZIA
Il Monte San Michele è un rilievo carsico nei pressi di Sagrado. Situata al limitare ovest del Carso Isontino e sovrastante il corso dell’Isonzo, questa altura è nota per essere stata il teatro di importanti scontri durante le prime sei Battaglie dell’Isonzo. La cima del monte è in realtà una serie di quote la cui altezza e forma originale è andata perduta a causa delle modifiche attuate dalla stessa guerra di trincea e dai lavori di edificazione di luoghi della memoria fatti in epoca successiva. Sebbene la vegetazione abbia ripreso possesso delle pendici del San Michele, la zona sommitale viene mantenuta volutamente spoglia per meglio ricreare lo scenario paesaggistico che si poteva incontrare al fronte durante il conflitto.
La zona del San Michele è stata teatro di dure battaglie durante la Grande Guerra. Luogo chiave del fronte austroungarico, è stato il luogo dove per la prima volta anche su questo fronte si fece uso di armi chimiche come i gas asfissianti. Il Monte San Michele fu conquistato dai soldati italiani nell’agosto del 1916 dopo la sesta battaglia dell’Isonzo, vincendo la resistenza delle truppe ungheresi poste a difesa di quel tratto di fronte. Queste ultime ritorneranno a occupare le trincee abbandonate solo dopo la rotta dell’esercito italiano in seguito alla disfatta di Caporetto.
Al giorno d’oggi la zona che si può individuare come la cima del Monte San Michele ospita l’omonimo Museo all’Aperto. Nell’area si possono osservare trincee, cippi commemorativi, tunnel, fortificazioni e ricoveri. Mentre l’area del Museo è stata ripulita dalla vegetazione carsica, questa è presente tutto intorno e i due punti panoramici realizzati con i recenti interventi di recupero dell’area museale permettono di spaziare con lo sguardo a 360° gradi sul territorio circostante, in un colpo solo, dal mare presso Monfalcone fino alle Alpi Giulie, ripercorrendo idealmente la linea del fronte tracciata nel primo conflitto mondiale. Il Carso è poi il protagonista del panorama più prossimo, con l’altopiano di Doberdò e il Carso di Comeno ben visibili.
L’itinerario proposto parte dal paese di San Martino per raggiungere, percorrendo un breve tratto in salita del sentiero n. 73 del CAI, la zona sommitale del Monte San Michele. Uscendo dalla qui fitta vegetazione carsica ci troveremo nel Museo all’Aperto del Monte San Michele, un’area all’aperto dove sono visibili varie costruzioni, come trincee e gallerie, che tipicamente caratterizzavano le prime linee del fronte durante la Grande Guerra. Protagonista dell’itinerario non sarà solo la vita dei soldati in trincea, ma anche l’ambiente carsico. È infatti il Carso stesso, con le sue caratteristiche geologiche e morfologiche, il motivo per cui il conflitto si attestò in queste aree. Ripercorreremo quindi anche il rapporto tra il Carso e i fanti che qui vi stazionarono e quali sono stati i cambiamenti ambientali che l’area ha subito durante e dopo il conflitto. I due punti panoramici realizzati nel Museo all’Aperto permetteranno di osservare quasi tutto il carso isontino, permettendo così di contestualizzare al meglio questi temi.
L’itinerario parte da Piazza Fontana 1. La visita proposta è un itinerario a piedi in ambiente naturale ma su sentieri facili con una prima parte in salita (circa 100 mt di dislivello). Sono indicate calzature adeguate (scarpe da ginnastica, scarponcini). Sono disponibili zone di parcheggio nelle vie adiacenti alla piazza. Evitare di parcheggiare lungo la via di accesso al M.te San Michele o in prossimità del Museo del San Michele per favorire la viabilità automobilistica.
14:00 – 17.30 (ultimo ingresso 15:45)
10:30 – 17.30 (ultimo ingresso 15:45)
Visite a cura di: prof. Gianluca Volpi (Dipartimento di Storia Università degli studi di Udine), prof.ssa Maria Luisa Zoratti (Liceo Scientifico M. Buonarroti), prof.ssa Eleonora Benes (ISIS BEM).
SAGRADO (GO)
S.MARTINO DEL CARSO: UN PAESE SUL FRONTE DELLA GRANDE GUERRA Piazza della Fontana, 1
L’itinerario parte da Piazza Fontana 1, si richiede di parcheggiare l’auto nelle vie adiacenti alla piazza e non lungo la via che porta al Monte San Michele per favorire la viabilità.
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI GORIZIA
Il paese di San Martino del Carso si trova sul carso isontino e sorge a ridosso del ben noto Monte San Michele, nel comune di Sagrado (GO). Durante la Prima Guerra Mondiale il piccolo abitato venne a trovarsi proprio sulla linea del fronte, andando incontro ad una sorte analoga a moltissimi altri paesini carsici: venne devastato dai bombardamenti e dai combattimenti e ridotto ad una serie di rovine.
Dopo essere stato ricostruito e aver attraversato indenne la restante parte del XX secolo, San Martino del Carso è oggi un luogo integrato nell’ambiente carsico e dal quale affiorano numerose testimonianze dirette del passato conflitto.
Tra le testimonianze che si possono trovare nei dintorni dell’abitato carsico, il più rilevante è il cippo dedicato al 4° Reggimento Honvéd, eretto in memoria dei propri caduti dai soldati ungheresi già nel 1917, quando dopo la disfatta di Caporetto l’intero Friuli venne rioccupato dalle forze austroungariche. Il monumento è stato restaurato nel 2019 ed è ancora oggi mèta di pellegrinaggio da parte di familiari e rappresentanze ungheresi. Meno visibili, ma presenti ovunque nel sottosuolo di San Martino, sono le gallerie e le caverne che vennero scavate artificialmente dai belligeranti nel tentativo di costruire ripari sicuri o di raggiungere postazioni nemiche in sicurezza. Degli edifici del paese, come ben ricorda Giuseppe Ungaretti, non rimase molto a seguito dei combattimenti, tuttavia ancora oggi guardando con attenzione si possono rintracciare i muri degli edifici più antichi. Un edificio più moderno all’ingresso di San Martino ospita invece un museo, curato dai volontari del Gruppo Speleologico Carsico, nel quale sono raccolti numerosi oggetti rinvenuti nelle trincee circostanti che mettono in mostra la difficile vita di trincea dei fanti che combatterono in quei luoghi.
Partendo dalla piazza del paesino carsico di San Martino visiteremo, accompagnati dai volontari del Gruppo Speleologico Carsico, i luoghi più significativi presenti nel piccolo paese con un itinerario di circa un’ora e mezza. Per rievocare il passato di questi luoghi ci affideremo agli scritti di Alice Schalek (prima donna corrispondente di guerra) e al diario di László Kókay, un testo ritrovato e pubblicato in esclusiva dall’associazione Speleologica. Passeggiando lungo le vie di San Martino seguiremo le storie e le vicende dei soldati austroungarici che combatterono nelle prime linee in questa zona del fronte. Saremo così indirizzati verso luoghi che solo di recente sono stati riscoperti, come ad esempio le trincee e le gallerie scavate per combattere un’insidiosa guerra di mine, oppure verso monumenti come quello dedicato al 4°Reggimento Honvèd, restaurato nel 2019. Tra le vie del piccolo abitato incontreremo anche la voce di Ungaretti a ricordarci che di San Martino era rimasta ben poca cosa, cosa che mostreranno anche le foto e i materiali bellici presenti nel museo di San Martino del Carso dove avrà fine l’itinerario proposto.
L’itinerario parte da Piazza Fontana 1. La visita proposta è un itinerario a piedi lungo il paesino di San Martino del Carso. Parcheggiare in paese (disponibilità di parcheggio nelle vie adiacenti alla piazza) per favorire la viabilità per il Monte San Michele.
14:00 – 17:30 (ultimo ingresso 16:00)
10:00 – 18:00 (ultimo ingresso 16:30)
Visite a cura di: Volontari Gruppo Speleologico Carsico di San Martino del Carso
SAN VITO AL TAGLIAMENTO (PN)
CONVENZIONI TEMPORANEE: SCONTO 10% PER ISCRITTI FAI presso Caffè Cacao, Ristorante Porta Antica, Trattoria Al Colombo, Corte del Castello
PALAZZO ALTAN – Via Antonio Altan, 47
Aperture a cura di: GRUPPO FAI DI SAN VITO AL TAGLIAMENTO
Alla fine di via Altan, circondato nella parte sud da un fossato, tangente alla Porta Grimana, si incontra il complesso di Palazzo Altan, con i suoi edifici annessi, la cappella, un delizioso giardino all’italiana e, dietro ad esso, un giardino romantico: un’oasi verde ora nel centro cittadino, un tempo parte di borgo Taliano, uno dei borghi di San Vito.
Nel 1603 la famiglia dei conti Altan aveva acquistato nel borgo Taliano un modesto edificio che, dopo modifiche edilizie, dopo l’aggiunta nel 1751 della Torre Grimana e la successiva costruzione dell’Oratorio neoclassico dedicato alla Madonna Assunta, di cui fu incaricato Tommaso del Fabbro, divenne il complesso architettonico che vediamo oggi, testimone del rango e del benessere della famiglia. Ora proprietà della Regione e del Comune di San Vito al Tagliamento, ospita il Museo della Vita contadina Diogene Penzi e alcuni uffici, tra cui il Consorzio Tutela Vini Doc Friuli Grave.
Provenendo dal centro di San Vito, si incontra dapprima la fronte, con grande portale sormontato da un timpano, di quella parte del complesso in cui oggi ha sede il Museo della Vita contadina. Di seguito l’elegante facciata della cappella, riedificata in stile neoclassico dall’architetto Lodovico Rota nel 1825, come riporta la data nella trabeazione; sopra il portale lo stemma degli Altan e la croce a otto punte dei Cavalieri di Malta. L’interno della cappella è a pianta ottagonale; anche nell’altare è presente lo stemma della famiglia Altan. Conclude il fronte strada la facciata a tre piani del palazzo. All’interno la biblioteca settecentesca e le sale ornate da stucchi ed affreschi. Sul retro del palazzo il bellissimo giardino all’italiana delimitato da un’esedra. Tra il giardino e la cinta muraria, un giardino all’inglese.
Palazzo Altan è uno degli edifici più prestigiosi di San Vito per storia e per interesse architettonico ed artistico. Eretto agli inizi del’600, è normalmente chiuso al pubblico tranne in casi di eventi particolari. Ora di proprietà della Regione e del Comune, presenta al’interno un recente allestimento di opere di artisti locali di chiara fama e conserva intatto il fascino del palazzo nobiliare nella biblioteca del pianoterra, nelle pareti finemente decorate e negli specchi del primo piano, nel significativo ciclo di affreschi della fine del XVII secolo sul soffitto della camera che fu di Leandra Altan, attribuito a Lucillo Candido e raffigurante alcuni episodi della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Molto elegante il giardino all’italiana retrostante, delimitato da un’esedra su cui si ammirano tracce di pittura seicentesca attribuibili al pittore tedesco Anton Joseph.
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo solitamente chiuso al pubblico perché sede di una istituzione o di un ente
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
Visite a cura di: Apprendisti Ciceroni I.S.I.S. “Le Filandiere”, I.S.I.S. “Paolo Sarpi”
SAN VITO AL TAGLIAMENTO (PN)
PALAZZO AMALTEO – RENALDIS (solo per iscritti FAI) Via Altan, 39
Aperture a cura di: GRUPPO FAI DI SAN VITO AL TAGLIAMENTO
Il Palazzo Amalteo-Renaldis di San Vito al Tagliamento si trova incluso in un contesto urbano detto Borgo Taliano a forte connotazione nobiliare contraddistinto in primis dal capofila Palazzo Altan che di quel quartiere rappresenta la naturale conclusione. L’edificio mantiene l’impianto cinquecentesco che ancor oggi emerge visibilmente osservando la composizione delle linee che formano la facciata definita da due portali ad arco a tutto sesto in conci in pietra per gli ingressi dei proprietari e degli ospiti e, in posizione eccentrica da un altro più ampio portale a conci lapidei che consentiva l’ingresso diretto di cavalli e carrozze sul porticato oggi chiuso sul lato da serramenti. A partire da esso si sviluppa lo scalone di raffinato impianto cinque-seicentesco. In facciata un timpano sormonta ogni finestra e vi si ammira anche il bel balcone centrale sormontato dallo stemma di famiglia inserito quando i Renaldis divennero proprietari dell’immobile (1623). Il piano terra è oggi stato modificato per ospitare stanze ad uso ufficio, ma il piano nobile mantiene la classica conformazione del palazzo veneziano con salone di passaggio e stanze contigue che vi si aprono, e soffitto ligneo a cassettoni che presenta, nella parte superiore delle pareti, interessanti freschi monocromi e policromi cinquecenteschi probabilmente ritoccati almeno quanto all’inserzione di nuovi stemmi nobiliari nel secondo ventennio del Seicento.
Il palazzo prima di appartenere alla famiglia, fu di proprietà del pittore Pomponio Amalteo che fu certamente considerato dai contemporanei illustre cittadino sanvitese non soltanto per la intensa e celebrata attività artistica della sua bottega, ma anche perché partecipò in prima persona alla vita sociale e politica di San Vito di cui fu anche podestà nel 1562. Una personalità così in vista scelse necessariamente una dimora consona al suo rango e al suo prestigio, acquistando il nuovo fabbricato posto in borgo Taliano ove visse fino alla morte, avvenuta nel 1588. Il palazzo fu poi venduto, come ci spiega una nota manoscritta presente su una Genealogia de Renaldis presso la Biblioteca Civica “Vincenzo Joppi” di Udine, dagli eredi dell’Amalteo a Cesare Renaldis per la somma di 1000 ducati. I Renaldis vi permasero da proprietari fino al 1803, quando alla morte della contessa Barbara le di lei figlie Paolina e Beatrice Renaldis ottennero l’usufrutto del palazzo che sarebbe poi passato per successioni dinastiche de iure ai Rota, unitamente ad un’altra casa Renaldis posta in via Mercatovecchio ad Udine.
Oltre a decorazioni non meglio precisate e oggi perdute che secondo le fonti si sarebbero trovate nel granaio, il palazzo ospita bei freschi al piano nobile. Nell’atrio un fregio policromo anima figure di putti disposti intorno all’arma dei Renaldis mentre ai lati altri putti giocano tra le Grottesche: a sinistra si nota lo stemma dei Maniago. La qualità dell’esecuzione fa pensare certamente ai modi pittorici dell’Amalteo, ma la presenza dello stemma dei nuovi proprietari sposta a dopo il 1623 se non l’intero impianto pittorico, almeno l’inserimento dello stemma della famiglia ed il loro generale riadattamento. Il soffitto ligneo dell’atrio è a cassettoni impreziosito dall’inserzione di borchie dorate al centro. Nel salone centrale, alla base del soffitto, si dipana una raffinata cornice di coronamento monocroma a girali fitomorfi, putti alati, uccellini. Se il suo sviluppo pittorico appare compatibile con un riferimento all’ambiente dell’Amalteo lui e il sanvitese Cristoforo Diana l’inserzione delle insegne dei Renaldis e dei Ludovicis retti da mascheroni è da considerarsi seicentesca, relativamente alla presa in carico del palazzo da parte della famiglia Renaldis. E’ invece probabilmente autografa dell’Amalteo la intensa grisaille della stanza principale del piano nobile che guarda su via Altan, articolata elegantemente intrecciando elementi fitomorfi, sirene, uccelli, putti, teste mitologiche.
Il Bene non è mai stato presentato in occasione di Giornate FAI, né di altro tipo di manifestazioni pubbliche. Per le Giornate FAI il proposito, di concerto con l’attuale proprietà, è quello di proporre ai visitatori una visita ragionata sulla presenza architettonica e artistica del palazzo nel tessuto urbanistico di San Vito al Tagliamento e, contemporaneamente, sulla sua importanza storica nel contesto sociale e culturale della città, anche e soprattutto in virtù del fatto di essere da sempre riconosciuta come la dimora del celebre pittore Pomponio Amalteo. Dopo una necessaria sosta fuori dal fabbricato per ammirarne il raffinato andamento cinquecentesco, si passerà poi a illustrare l’atrio delimitato dal porticato oggi chiuso da serramenti e, saliti lungo il potente scalone al piano nobile, si procederà alla visita guidata del contesto architettonico degli interni riservando particolare attenzione, in chiusura, ai freschi cinquecenteschi della sala che affaccia su via Altan, molto probabilmente autografi.
** Accesso disabili
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo solitamente chiuso al pubblico perché di proprietà privata
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
Visite a cura di: Apprendisti Ciceroni I.S.I.S. “Le Filandiere”, I.S.I.S. “Paolo Sarpi”
SPILIMBERGO (PN)
MARIO DONÀ MOSAICI – Via Marchetti, 6
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI PORDENONE
L’azienda Mario Donà Mosaici trova sede nella zona artigianale di Spilimbergo, poco fuori dal borgo friulano conosciuto anche come la città del mosaico.
Mario Donà ha ereditato dal padre Ugo la saggezza antica del mescolare silice, alcali e calcio per produrre smalti vetrosi e ori freschi come una Venere che nasce dalla spuma del mare, smalti di una bellezza varia che ricorda il tremolare della marina. Il padre aveva costruito la sua ditta nel 1926 con la collaborazione di alcuni operai del maestro vetraio Lorenzo Radi, rilevandone l’attrezzatura e apprendendo le tecniche primarie. Nel 1991 Mario si trasferisce a Spilimbergo e fonda la sua ditta, dove anche il figlio Marco impara a tramanda questo sapiente mestiere.
La ricerca tecnologica e scientifica condotta con metodo certosino ha fatto sì che nel laboratorio Donà si producano vetri di altissima qualità, i cosiddetti vetri stabili, la cui caratteristica più importante è quella di resistere ottimamente a qualsiasi fenomeno di degrado. Solo la dedizione totale e l’encomiabile orgoglio dell’intera famiglia hanno permesso questi risultati di altissima qualità. Dal laboratorio artigiano escono smalti dai colori e dalle sfumature più belle. Ogni mosaicista trova, qui, sempre disponibili, circa duemilacinquecento colori in sfumature diverse.
Durante le Giornate Fai di Primavera la ‘Mario Donà Mosaici’ aprirà le porte a tutti i curiosi del mondo del mosaico. Sarà possibile conoscere da vicino un mestiere così affascinante e colorato, com’è quello della produzione degli smalti. Dalla preparazione delle miscele, che variano in base alla cromìa desiderata, alla cottura e pressatura della cosiddetta ‘pizza’, per finire poi al taglio delle singole tessere musive che verranno pazientemente collocate per diventare vere opere d’arte musive. Vieni con noi alla scoperta delle Giornate FAI di Primavera più colorate di sempre!
** Accesso disabili
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo solitamente chiuso al pubblico perché di proprietà privata
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
Visite a cura di: Famiglia Donà
MOSAICPRO – Via Percoto, 19
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI PORDENONE
Poco distante dalla scuola dei Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo si trova l’azienda Mosaicpro, ossia il laboratorio del maestro Rino Pastorutti.
Rino Pastorutti nel 1960 si diploma alla Scuola Mosaicisti di Spilimbergo. Il suo lavoro degli anni successivi si divide tra l’impegnò nella Scuola stessa (sia come insegnante, che come direttore fino al 1997), sia come artista e testimone dell’arte musiva.
Profondamente legato alla tradizione friulana del mosaico che ha in Aquileia il suo più splendido ed invidiato esempio, Pastorutti diventa un ambasciatore di quest’arte con capolavori destinati fra l’altro a sedi come Atene, Buenos Aires, Washington e Riyad.
Una memoria storica dell’evoluzione del mosaico che non ha mai fatto mancare il proprio contributo verso la comunità e i giovani, e che per queste Giornate di Primavera apre le porte del suo laboratorio. Insieme all’artista sarà possibile ripercorrere la sua straordinaria attività ed anche un pezzo della vita della Scuola. All’interno del suo laboratorio, vero e proprio museo, i visitatori potranno percorrere l’esperienza artistica di Rino Pastorutti, parte integrante della storia del mosaico in Friuli.
Vieni a scoprire il laboratorio di Rino Pastorutti, maestro dell’arte musiva di Spilimbergo, che apre le sue porte in esclusiva per le Giornate FAI più colorate di sempre!
** Accesso disabili
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo solitamente chiuso al pubblico perché di proprietà privata
10:00- 12.30 / 14.00 -17:30 (ultimo ingresso 17:00)
10:00 – 12.30 / 14.00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
Visite a cura di: Famiglia Pastorutti
SCUOLA MOSAICISTI DEL FRIULI
Aperture a cura di: GRUPPO FAI DI SPILIMBERGO
La Scuola Mosaicisti del Friuli si trova poco distante dal centro storico di Spilimbergo, borgo conosciuto come “città del Mosiaco” grazie alla secolare arte che la scuola ha saputo tramandare a decine e decine di abitanti di Spilimbergo e paesi limitrofi.
Fu Lodovico Zanini, delegato per il Friuli dell’Umanitaria di Milano, a suggerire l’istituzione di una scuola per mosaicisti ed Ezio Cantarutti, Sindaco di Spilimbergo, a concretizzare l’opera. Così nel 1922 nasce a Spilimbergo la Scuola Mosaicisti del Friuli. Il ciclo di studi fu strutturato in tre anni e la programmazione prevedeva sia materie di cultura generale che lo sviluppo di disegni, bozzetti e cartoni quali presupposti indispensabili per l’ideazione di composizioni musive, la cui esecuzione era supportata dalle esercitazioni pratiche di mosaico e terrazzo in laboratorio. Ben presto si formarono abili artisti, che grazie alle loro opere in giro per il mondo, diedero e danno tuttora lustro alla Scuola e alla città di Spilimbergo.
All’interno dell’edificio scolastico si possono vedere i maestri e gli allievi durante le varie fasi di esecuzione e di creazione musiva, ammirare le oltre 400 opere collocate lungo i percorsi espositivi interni, camminare su una superficie in mosaico e terrazzo di ben 2700mq.
In occasione delle Giornate FAI di Primavera festeggeremo i 100 anni dalla fondazione della Scuola dei Mosaicisti del Friuli facendovi scoprire le tecniche e le opere musive che hanno reso famosa Spilimbergo in tutto il mondo! Sarà possibile vedere i maestri e gli allievi durante le varie fasi di esecuzione e di creazione musiva, ammirare le oltre 400 opere dei maestri che hanno operato nella scuola in questo secolo di storia, mentre si passeggia su ben 2700mq di pavimento mosaicato. Vieni con noi a scoprire le Giornate FAI più colorate di sempre!
** Accesso disabili
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
Visite a cura di: Scuola Mosaicisti del Friuli, Apprendisti Ciceroni I.I.S. “Il Tagliamento”
EVENTO COLLATERALE: Passeggiata alla scoperta dei mosaici all’aperto di Spilimbergo, durata ca. 90’ – Sabato e Domenica ore 11 e ore 14.30, partenza e arrivo presso la Scuola Mosaicisti del Friuli
TRAVISANUTTO GIOVANNI S.R.L. – ARTISTIC MOSAICS – Via Marchetti, 8
Aperture a cura di: GRUPPO FAI DI SPILIMBERGO
L’azienda “Travisanutto Giovanni – Artistic Mosaics” trova sede nella zona artigianale di Spilimbergo, poco fuori dal borgo friulano conosciuto anche come la città del mosaico.
Giovanni Travisanutto, nato nel 1938, si iscrive alla Scuola Mosaicisti del Friuli a Spilimbergo nel 1949, in cui si fermerà a lavorare prima come assistente e poi come insegnante.
Nel 1970 gli viene offerto di dirigere un laboratorio musivo a New York, la Crovatto Mosaics, occasione che viene subito accolta con entusiasmo e sarà determinante per tutto il suo futuro, poiché durante il decennio trascorso negli States incontra e conosce molti artisti e architetti e tesse dei legami con dei clienti che ancora oggi perdurano proficuamente.
La nascita della Travisanutto Giovanni srl, laboratorio e studio di Mosaici Artistici a Spilimbergo avviene nel 1979 al rientro dall’esperienza americana; dapprima con l’aiuto della moglie Lina e in seguito con l’inserimento del figlio Fabrizio il laboratorio cresce velocemente e si distingue per la realizzazione di Mosaici Artistici di prima qualità, sia in ambito religioso sia nelle opere pubbliche.
L’azienda Travisanutto Giovanni – Artistic Mosiacs realizza mosaici adattando le tecniche musive, i collanti, i supporti e l’installazione alle specifiche caratteristiche del progetto in questione, sia dal punto di vista artistico, sia da quello più prettamente tecnico. Il Santo Sepolcro di Gerusalemme, la Basilica della National Shrine of the Immaculate Conception di Washington DC., la Cattedrale di Knock in Irlanda, tante altre chiese nel mondo, come oltre 40 metropolitane a New York, gli aeroporti di Washington DC, di Atlanta, di Orlando e Seattle, sono solo alcune delle più prestigiose sedi che ospitano opere musive realizzate da Travisanutto.
Durante le Giornate FAI di Primavera sarà possibile vedere in prima persona come nasce un mosaico, grazie alla disponibilità della ‘Travisanutto Giovanni – Artistic Mosiacs’ che ci aprirà le porte del proprio laboratorio. L’azienda vanta oltre quarant’anni di attività in tutto il mondo, con opere civili che si possono trovare nelle metropolitane di New York e negli aeroporti di Washington e opere religiose che possiamo ammirare addirittura nel Santo Sepolcro di Gerusalemme. Non ti resta che venire a scoprire con noi le Giornate FAI di Primavera più colorate di sempre!
** Accesso disabili
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo solitamente chiuso al pubblico perché di proprietà privata
VISITE MAX 15 PAX SOLO VENERDì 25
15.30 – 16.00 – 16.30
Visite a cura di: Travisanutto S.r.l.
VILLA MAGENTA Via Barbeano, 5
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI PORDENONE
Villa Magenta sorge poco distante dal centro storico di Spilimbergo, immersa nel verde del suo giardino, che nella parte anteriore si rivela come un giardino di rappresentanza, con essenze pregiate ed esotiche, mentre nella parte posteriore rispecchia il carattere di dimora di campagna con un piantumato ad alberi da frutto.
La villa ha probabile origine nel 1909 grazie alla famiglia Avon, abili mosaicisti che erano emigrati da decenni in Francia, ma che fatta fortuna vollero tornare nella propria terra d’origine, dove costruirono questa villa in pieno stile Liberty. La villa è impreziosita in ogni stanza da pavimenti in mosaico, che furono realizzati in Francia dalla stessa famiglia Avon e trasportati a Spilimbergo. Nel 1938 la villa venne venduta alla famiglia Businello, che attualmente la abita.
L’edificio si articola su tre piani più un seminterrato destinato alle cantine. Il piano rialzato, che poggia su uno zoccolo disegnato a grossi blocchi di pietra irregolari, è contenuto da una cornice lineare e liscia che segue il perimetro della casa. I blocchi aggiuntivi al volume principale sono caratterizzati da ulteriori cornici che ne segnano i piani e che generano le terrazze: cornice modellata per il primo piano, dentellata per il secondo e terzo piano, e un’ultima cornice sporgente in sommità con dentelli a disegnare e sostenere il tetto in legno.
In occasione delle Giornate FAI di Primavera potrai visitare eccezionalmente Villa Magenta e i suoi stupendi mosaici, realizzati dall’importante famiglia di artisti Avon, ma anche il giardino che conserva, dopo oltre un secolo, il suo impianto originario. Tutti i mosaici che troverai all’interno sono stati trasportati direttamente dalla Francia, dove gli Avon avevano bottega, ma quello che sarebbe dovuto essere collocato nella cucina fu erroneamente posato in una dependance esterna, vicino alle stalle! Vieni con noi alla scoperta di Villa Magenta e dei suoi mosaici, in occasione delle giornate FAI più colorate di sempre!
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo solitamente chiuso al pubblico perché di proprietà privata
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
VILLA PETRI Via Cavour, 30
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI PORDENONE
Nel suburbio occidentale di Spilimbergo, in quella che fu una delle prime vie di connessione del territorio con il tradizionale borgo medievale, sorge villa Petri. La via Cavour su cui insiste, è un compendio di ville sorte a cavallo tra ‘800 e ‘900 che hanno accompagnato la nascita di una nuova classe borghese di professionisti e proto-industriali, che hanno trovato in questa parte della città una definizione del loro status symbol.
Villa Petri non fa eccezione in questo senso. Costruita nei primi anni del ‘900 da Domenico Ceconi, ingegnere ed impresario edile originario di Vito D’Asio, passerà di proposito nel 1939 alla famiglia Petri.
Il gusto liberty si riconosce già entrando nell’ampio cortile, alzando lo sguardo verso il fregio floreale al di sotto della cornice del tetto, e seguirà all’interno nei soffitti del piano terra. La pianta quadrata della villa si affaccia nella parte posteriore su un frutteto che denota la primaria funzione della villa padronale.
Durante le Giornate FAI di Primavera ti accompagneremo alla scoperta di villa Petri, gioiello liberty mai aperto prima! All’interno delle stanze scopriremo i colori liberty, che tanto assomigliano a quelli dei mosaici di Spilimbergo!
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo solitamente chiuso al pubblico perché di proprietà privata
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
10:00 – 17:30 (ultimo ingresso 17:00)
TRIESTE – DAL TEATRO VERDI AL MUSEO TEATRALE SCHMIDL – Piazza Verdi
La visita parte da Piazza Verdi.
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI TRIESTE
Il Teatro Verdi, nato con il nome di Teatro Nuovo, è uno tra i più antichi teatri lirici in attività.
Fu costruito tra il 1798 e il 1801 per un committente privato, il negoziante livornese Matteo Giovanni Tommasini, cui subentrò quasi subito il conte Antonio Cassis Faraone, che comprò l’edificio in costruzione, solo nel 1861 l’edificio fu acquistato dalla Municipalità.
Il teatro, inizialmente denominato Nuovo, cambiò nome in Teatro Grande nel 1820, Teatro Comunale nel 1861 e infine Teatro Comunale Giuseppe Verdi nel 1901.
Alla morte del musicista, avvenuta nella notte tra sabato 26 e domenica 27 gennaio 1901, il consiglio comunale, di orientamento liberalnazionale, si riunì e deliberò immediatamente la nuova denominazione del teatro, che onorava il grande maestro, al cui nome era attribuito anche un significato patriottico, dato che all’epoca Trieste era parte dell’Impero austroungarico. Di fronte al teatro doveva essere collocato un monumento a Verdi, che fu ultimato nel 1906, ma collocato in piazza San Giovanni: gli irredentisti vi si ritrovavano considerandolo un punto di riferimento, tanto che Il monumento in pietra fu assalito e deturpato dalla popolazione il 23 maggio 1915, all’annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia contro gli imperi centrali, e sostituito nel dopoguerra dall’attuale monumento in bronzo.
La costruzione del Teatro Nuovo rispondeva alle necessità di una popolazione aumentata di numero, per cui la capienza del vecchio Teatro di San Pietro, ospitato nel palazzo comunale (prospiciente la piazza Grande, attuale piazza dell’Unità d’Italia), era ormai insufficiente. Il progetto del teatro fu affidato all’architetto veneziano Giannantonio Selva (cui si deve il Teatro La Fenice di Venezia, del 1792), cui vennero posti però limiti da lui giudicati inaccettabili, gli succedette quindi nella direzione dei lavori, modificando anche la facciata e gli interni, Matteo Pertsch.
L’edificio richiama molto da vicino l’esempio del Teatro alla Scala di Milano, costruito tra il 1776 e il 1778 su progetto dell’architetto Giuseppe Piermarini, che fu tra i maestri di Pertsch, e inaugurato nel 1792. Il teatro Nuovo fu costruito in tempi brevissimi e inaugurato il 21 aprile 1801 con la rappresentazione di due opere: la Ginevra in Scozia di Simone Mayr e Annibale in Capua di Antonio Salieri. Per molti anni ospitò sia spettacoli d’opera e balletto sia di prosa.
L’edificio, di notevole eleganza, presenta una facciata bipartita in senso orizzontale: il pianterreno in pietra a bugnato, con ampio portico aggettante, in cui si aprono tre archi a tutto sesto frontali e due laterali, è sormontato da una terrazza con balaustra. I due piani sovrastanti, a semplice intonaco, sono ritmati da quattro semicolonne ioniche nella parte centrale, corrispondente al terrazzo, e da paraste nelle parti laterali, che non continuano con lo stesso allineamento, ma la facciata arretra due volte, creando lievi aggetti (che riprendono la ripartizione in cinque parti, più marcata, del teatro alla Scala); tra le paraste e le colonne si aprono finestre a tutta altezza con timpano al primo piano, in cui la balaustra continua tra le paraste anche ai lati della terrazza, e semplice cornice in pietra al secondo, un ampio cornicione in pietra, scandito da finestrelle, precede la trabeazione. Al centro un fastigio con la statua di Apollo e di due figure femminili, presumibilmente le muse Euterpe e Thalia (la musica e la commedia), secondo altri l’Arte lirica e l’Arte tragica. Le statue poste nelle nicchie del basamento rappresentano rispettivamente Marte a destra e Plutone con il cane Cerbero a sinistra.
Osservando il lato dell’edificio emerge chiaramente una tripartizione tra la parte frontale, più riccamente ornata – che comprende l’ingresso del teatro, il foyer, i servizi per gli spettatori e, ai piani superiori, gli uffici di direzione e amministrazione – una seconda parte, che corrisponde alle due sale affiancate del ridotto e del teatro vero e proprio, e una terza parte, ampliata e innalzata su progetto dell’architetto Tamburini tra il 1991 e il 1997, che comprende il palcoscenico, le attrezzature tecniche, le sale prova dell’orchestra e del balletto, i camerini. Un primo restauro radicale, negli anni ’80 dell’Ottocento, aveva già adeguato il teatro a maggiori esigenze di sicurezza: lo si era allungato di sei metri verso il mare e la facciata postica era stata riprogettata, con un’ornamentazione simile a quella della facciata principale, da Eugenio Geiringer.
La capienza, inizialmente di 2.500 spettatori, è stata progressivamente ridotta agli attuali 1.200.
L’apertura nelle Giornate FAI prevede, oltre alla passeggiata tra i palazzi neoclassici, anche la visita del museo teatrale “Carlo Schmidl” e la visita del Teatro Lirico Giuseppe Verdi. La visita partirà da piazza Verdi.
La prima parte della visita sarà dedicata alla scoperta delle sale interne del Teatro Verdi. Il percorso all’interno partirà dal foyer, con successiva sosta in platea, prima di proseguire tra i piani dei palchi (possibile anche l’uso dell’ascensore in caso di necessità) al ‘Ridotto’ – costruito contemporaneamente al Teatro su disegni dell’architetto Selva – sede di memorabili balli pubblici e veglioni a partire dal 27 dicembre 1801. Dal ‘Ridotto’ si prosegue alla scoperta della sala coro, della sala ballo e, infine, del loggione, per scendere poi nuovamente nel foyer del Teatro.
Gli Apprendisti Ciceroni vi porteranno successivamente alla scoperta della composta elegante bellezza del centro storico neoclassico di Trieste: il percorso muoverà da piazza Verdi, per proseguire in piazza della Borsa, le rive con palazzo Carciotti e la prospettiva del Canal Grande con la chiesa di Sant’Antonio Nuovo. Infine entrerete nel Palazzo Gopcevich – sede del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”. Il percorso di visita documenta la storia del teatro e della musica a Trieste dal Settecento a oggi. Tra gli oggetti più antichi ricordiamo una spinetta all’italiana del 1577 e un baule e un costume di scena del Settecento. Ma nelle sale sono esposti moltissimi oggetti di grande interesse, che segnalano questo museo insolito e poco noto, degno invece di essere visitato anche a più riprese, per apprezzarne la varietà e la ricchezza.
** Accesso disabili
evento speciale (quindi il contributo sarà di 5€ per gli iscritti FAI e 10€ per i non)
10:00 – 17:00 (ultimo ingresso 15:00)Note: Turni di visita ogni ora, gruppi di massimo 20 persone.
10:00 – 17:00 (ultimo ingresso 15:00)Note: Turni di visita ogni ora, gruppi di massimo 20 persone.
Visite a cura di: Apprendisti Ciceroni dagli istituti scolastici Liceo Francesco Petrarca, ITS G. Deledda M. Fabiani, Scuola Internazionale di Trieste, Istituto L. da Vinci – G.R. Carli – S. de Sandrinelli, ISIS Carducci – Dante, Liceo Artistico Enrico e Umberto Nordio, Liceo Anton Martin Slomšek
PASSEGGIATA AL CIVICO MUSEO TEATRALE “CARLO SCHMIDL” Via Rossini, 4
La visita parte da Piazza Verdi.
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI TRIESTE
Palazzo Gopcevich è ubicato nel centro del borgo Teresiano e si affaccia sul Canal Grande. Il canale, ora l’unico canale della città, era il centro dell’area portuale e della vita commerciale della città di allora. Il palazzo doveva ospitare l’attività imprenditoriale – con uffici e magazzini – e l’abitazione della famiglia.
Il museo Schmidl venne inaugurato nel 1924 all’interno del Teatro Verdi dallo stesso Carlo Schmidl, editore musicale, commerciante di musica e collezionista, che vi fece confluire la sua Raccolta storico-musicale, frutto di mezzo secolo di attività.
Il museo è sia sede espositiva che centro di documentazione e ospita oggetti, opere d’arte e documenti relativi alla vita non solo del teatro Verdi, ma di tutti i teatri storicamente attivi nella città, configurandosi come un museo della storia del teatro e della musica a Trieste dal Settecento ad oggi.
Ospitato all’interno del teatro Verdi fino al 1991 e poi nella sede provvisoria di palazzo Morpurgo fino al 2006, ha trovato infine degna collocazione negli spazi molto ampi e prestigiosi di palazzo Gopcevich.
Le sale espositive si articolano su due piani e comprendono manifesti, locandine, fondi archivistici, manoscritti autografi, bozzetti e figurini, stampe, fotografie, costumi e gioielli di scena, marionette e burattini, cimeli appartenuti ad artisti e opere d’arte quali dipinti, medaglie e sculture. Vi è anche una significativa raccolta di oltre settecento strumenti musicali europei ed extraeuropei. Strumenti di registrazione e riproduzione del suono, attrezzature di scena d’epoca e persino la ricostruzione di uno storico laboratorio di liuteria, compreso degli strumenti originali. Una saletta ospita l’archivio e la biblioteca personali di Giorgio Strehler.
L’esposizione è organizzata in modo attraente e si presta a suscitare e soddisfare la curiosità del pubblico su tutto ciò che concerne il mondo della musica e dello spettacolo teatrale.
A ciò si aggiunge la bellezza del palazzo che la ospita. Palazzo Gopcevich, uno dei primi esempi dello stile eclettico a Trieste, fu progettato nel 1850 dall’architetto Giovanni Berlam per Spiridione Gopcevich, facoltoso commerciante di granaglie, appartenente alla comunità serba triestina. La facciata presenta eleganti finestre ad arco e bifora interna, e una decorazione dipinta a motivo geometrico a due colori di ispirazione veneziana, oggi piuttosto rovinata. L’interno presenta un atrio, che si apre su due ampie sale laterali e una ariosa scalinata aperta, sostenuta da colonne, che si articola su tutti i quattro piani. Sono particolarmente belli nelle sale i soffitti decorati da stucchi elaborati e i pavimenti di legno intarsiato, alcuni con inserti di madreperla.
L’apertura nelle Giornate FAI prevede, oltre alla passeggiata tra i palazzi neoclassici, anche la visita del museo teatrale “Carlo Schmidl”. La visita partirà da piazza Verdi.
Gli Apprendisti Ciceroni vi porteranno alla scoperta della composta elegante bellezza del centro storico neoclassico di Trieste: il percorso muoverà da piazza Verdi, per proseguire in piazza della Borsa, le rive con palazzo Carciotti e la prospettiva del Canal Grande con la chiesa di Sant’Antonio Nuovo. Successivamente entrerete nel Palazzo Gopcevich – sede del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”. Il percorso di visita documenta la storia del teatro e della musica a Trieste dal Settecento a oggi. Tra gli oggetti più antichi ricordiamo una spinetta all’italiana del 1577 e un baule e un costume di scena del Settecento. Ma nelle sale sono esposti moltissimi oggetti di grande interesse, che segnalano questo museo insolito e poco noto, degno invece di essere visitato anche a più riprese, per apprezzarne la varietà e la ricchezza.
** Accesso disabili
09:30 – 17:00 (ultimo ingresso 15:30)Note: Turni di visita ogni ora, gruppi di massimo 20 persone
09:30 – 17:00 (ultimo ingresso 15:30)Note: Turni di visita ogni ora, gruppi di massimo 20 persone
Visite a cura di: Apprendisti Ciceroni dagli istituti scolastici Liceo Francesco Petrarca, ITS G. Deledda M. Fabiani, Scuola Internazionale di Trieste, Istituto L. da Vinci – G.R. Carli – S. de Sandrinelli, ISIS Carducci – Dante, Liceo Artistico Enrico e Umberto Nordio, Liceo Anton Martin Slomšek
* visite in lingua slovena sabato alle 10.00
PASSEGGIATA TRA I PALAZZI NEOCLASSICI FRONTE MARE – Piazza Verdi
La visita parte da Piazza Verdi.
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI TRIESTE
La città di Trieste si sviluppa per lungo tratto del centro storico lungo il mare: la parte che comprende il borgo teresiano e il borgo giuseppino è caratterizzata da un’uniforme impronta neoclassica – riconoscibile anche da chi vi arriva per nave o si volge a guardare la città dal molo Audace o dal molo IV – che ha la sua matrice in una serie di edifici risalenti agli ultimi anni del Settecento e ai primi decenni dell’Ottocento.
La crescita di Trieste – iniziata dopo la proclamazione nel 1719 del porto franco, da parte dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo – alla fine del Settecento era ancora lenta, ma era destinata a divenire rapidissima nell’Ottocento.
Gli edifici, in particolare Palazzo Carciotti e il Teatro Verdi, costruiti entrambi tra il 1798 e il 1802, rappresentano la volontà di dare alla città nuova – sviluppatasi nel Settecento oltre le mura medievali, sul sito precedentemente occupato dalle saline – un aspetto decoroso ed elegante, in linea col gusto neoclassico dell’epoca. Non a caso a promuovere la progettazione e farsi carico della realizzazione di questi ed altri edifici furono la Camera di Commercio e un commerciante in prima persona, Demetrio Carciotti, quindi i protagonisti dello sviluppo emporiale della città.
La sistemazione urbanistica dell’attuale piazza della Borsa, sorta a congiungere, con una forma necessariamente irregolare, la città vecchia e la città nuova, procede nel corso del Settecento con il progressivo interramento del Canal Piccolo, la costruzione di palazzo Carciotti, del Teatro Nuovo e del palazzo della Borsa.
Palazzo Carciotti, progettato da Matteo Pertsch, è un edificio di dimensioni imponenti (m 40 x m 100), che costeggia sul lato lungo la parte terminale del Canal Grande, mentre la facciata si trova sul fronte mare: su una base di pietra bianca d’Istria, aggettante nella parte centrale, si elevano due piani a semplice intonaco con finestre regolari. La parte aggettante ha in corrispondenza sei colonne ioniche giganti scanalate, che sostengono una balaustra, ornata da sei statue di Antonio Bosa. Leggermente arretrato un piccolo tamburo sostiene una cupola ellittica, la prima cupola costruita a Trieste – che culmina con l’aquila napoleonica. La facciata postica ha un ritmo simile, ma si ferma alla balaustra, con due vasi e quattro statue. Lo stato di abbandono del bellissimo edificio è deplorevole.
Il Teatro Nuovo – intitolato a Verdi subito dopo la morte del maestro fu progettato da Giannantonio Selva, cui poi subentrò Matteo Pertsch, allievo del Piermarini, ed è molto simile al Teatro alla Scala di Milano. Fu inaugurato nel 1801.
Il percorso nelle Giornate FAI prevede il ritrovo davanti al Teatro Lirico Giuseppe Verdi. Gli Apprendisti Ciceroni vi porteranno alla scoperta della composta elegante bellezza del centro storico neoclassico di Trieste: il percorso muoverà da piazza Verdi, per proseguire in piazza della Borsa, le rive con palazzo Carciotti e la prospettiva del Canal Grande con la chiesa di Sant’Antonio Nuovo.
** Accesso disabili
09:45 – 17:15 (ultimo ingresso 16:45)Note: Turni di visita ogni 30 minuti, gruppi di massimo 25 persone.
09:45 – 17:15 (ultimo ingresso 16:45)Note: Turni di visita ogni 30 minuti, gruppi di massimo 25 persone.
Visite a cura di: Apprendisti Ciceroni dagli istituti scolastici Liceo Francesco Petrarca, ITS G. Deledda M. Fabiani, Scuola Internazionale di Trieste, Istituto L. da Vinci – G.R. Carli – S. de Sandrinelli, ISIS Carducci – Dante, Liceo Artistico Enrico e Umberto Nordio, Liceo Anton Martin Slomšek
* visite in lingua inglese sabato e domenica alle 14.45
* Ringraziamenti per le GFP a: Comune di Trieste e Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
CERVIGNANO DEL FRIULI – BORGO FORNASIR Borgo Fornasir
Aperture a cura di: GRUPPO FAI DI PALMANOVA
Borgo rurale di fondazione, situato presso le antiche paludi di Manolêt e Boscat nei pressi di Cervignano del Friuli. Si raggiunge percorrendo prima la SR352var e successivamente Via Caiù fino in fondo. Il borgo emerge dalla vegetazione rivelando con le sue forme squadrate l’origine novecentesca.
L’insediamento rurale fu ideato e costruito tra il 1933 e il 1940 dall’ingegner Dante Fornasir (1882-1958). Risale infatti al 1940 la consacrazione della chiesetta
«Mater Dei». Cervignanese di nascita, Fornasir diede vita al progetto che doveva riaccostarlo alla semplicità della vita rurale: la creazione di un borgo nella zona del Manolêt, sulla sponda sinistra del fiume Ausa. Acquistò 100 ettari di terreno paludoso, li bonificò, li riordinò e vi edificò, secondo i criteri funzionalisti dell’epoca, il complesso di edifici che compongono il borgo: esempio di autonoma comunità agricola nei primi decenni, il borgo appartiene tuttora alla famiglia Fornasir.
Le forme squadrate e imponenti del campanile che emerge dal folto fogliame degli ippocastani, rivelano a prima vista l’origine tutta novecentesca del Borgo.
La visita guidata permetterà di riscoprire luoghi e ambienti solitamente non aperti al pubblico ed esempio di architettura rurale novecentesca.
** Accesso disabili
Turni visita ogni 30 minuti – presentarsi almeno 5 minuti prima dell’inizio della visita
10:00 – 13:00 / 15:00 – 18:00 (ultimo ingresso 17:30)Note: Turni visita ogni 30 minuti – presentarsi almeno 5 minuti prima dell’inizio della visita.
10:00 – 13:00 / 15:00 – 18:00 (ultimo ingresso 17:30)Note: Turni visita ogni 30 minuti – presentarsi almeno 5 minuti prima dell’inizio della visita.
Visite a cura di: Apprendisti Ciceroni Liceo Scientifico “Einstein” di Cervignano del Friuli
MANZANO – TRA CULTURA E NATURA: LA TENUTA DI TORRE ROSAZZA
Oleis – Località Poggiobello, 12
* PARCHEGGIO NEI PRESSI DELLA TENUTA E SULLA STRADA PRINCIPALE.
Aperture a cura di: GRUPPO FAI DI CIVIDALE DEL FRIULI
Torre Rosazza, oggi importante azienda vitivinicola, si inserisce nel meraviglioso contesto agreste di Oleis, piccola frazione di Manzano. Ci troviamo precisamente in località Poggiobello dove sono presenti e convivono armoniosamente due grandi realtà, quella delle viti e quella degli ulivi.
Oleis, per l’appunto, prende il suo nome dalla coltivazione degli ulivi che veniva praticata nei secoli passati. Nel centro del paese e sulle colline circostanti si possono ancora ammirare piante secolari con tronchi contorti e rugosi contrastare giovani fuscelli, a simboleggiare l’antica storia del territorio che ancora oggi si ripete.
La tenuta (villa Chiesetta dell’Immacolata e vigneti e cantina) appartiene dal 1974 a Genagricola. Quest’ultima è la più grande azienda agricola italiana per estensione di terreni coltivati e fa parte del grande gruppo di Generali Assicurazioni, compagnia assicurativa fondata nel 1831, a Trieste, con il nome di Imperial Regia Privilegiata compagnia di Assicurazioni Austro Italiche. Le responsabilità che hanno guidato fin qui la storia di Genagricola e la posizione che quest’ultima occupa nell’agricoltura italiana hanno fatto adottare all’azienda un codice valoriale, quello delle 3S: sostenibilità, ovvero l’utilizzo consapevole e ponderato delle risorse, sociale, ovvero l’attenzione alle fasce di popolazione più deboli attraverso progetti di sostegno e di integrazione nel mondo dell’agricoltura e sicurezza sul lavoro e sulla qualità del prodotto. Questi principi trapelano anche qui, in questa piccola parte di regione che nasconde questa vera e propria chicca. Si tratta di un enorme patrimonio culturale e naturale che è consigliabile ammirare in diversi momenti dell’anno, ma anche all’interno della stessa giornata, per poterne apprezzare tutte le sfaccettature. La tenuta si estende per 100 ettari, di cui ben 80 vengono coltivati a vigneto in un susseguirsi di paesaggi eleganti dai quali nascono vini di livello eccelso. Essi raccontano ad ogni sorso la ricchezza della terra e del nostro Friuli.
La storia di questo luogo è legata a quella di una grande famiglia friulana, gli Antonini. Originari di Amaro e trasferitisi poi a Venzone, in breve tempo grazie alle attività di appalti di dazi e di lavorazione del ferro accumularono un’ingente fortuna che avrebbero poi investito in possedimenti fondiari, costruendosi un’immagine pubblica di decoro, splendore e mecenatismo. Nel 1518 si trasferirono ad Udine dove si affermarono attraverso la gloria delle armi, la scienza, la cultura e l’amministrazione pubblica. A Udine ricordiamo le principali proprietà della famiglia: Palazzo Antonini Cernazai (Università degli Studi Di Udine) e Palazzo Antonini – Maseri (ex sede della Banca d’Italia).
Oltre alle dimore urbane, molte famiglie nobiliari dell’epoca erano spesso proprietarie anche di vasti possedimenti in campagna. Le ville di campagna, che per convenzione non dovevano risultare né troppo eleganti né troppo sobrie, avevano lo scopo di accogliere i proprietari e i loro ospiti e permettevano ai padroni stessi di osservare i lavori agricoli direttamente, di controllarli da più vicino, oltre a consentire una pausa dalla vita frenetica delle città per una boccata d’aria fresca, sicuramente più pura di quella respirata nel contesto urbano quotidiano. È proprio in questo quadro d’insieme che collochiamo il Palazzo di Torre Rosazza, citato dagli Antonini fin dalla seconda metà del XVI secolo come uno dei centri agricoli con annessa abitazione di proprietà. Da alcuni documenti storici si evince che alla fine del ‘600 furono recuperate ed assemblate grandi quantità di materiali edili come mattoni e coppi, probabilmente con lo scopo di ricostruire un preesistente palazzo fortificato, forse di origine medievale. Sappiamo che nel 1722 il palazzo di Turis Rocaea si presentava come una prestigiosa residenza con diverse stanze per i proprietari, per gli ospiti e per la schiavitù. Ai muri erano presenti molti quadri, dipinti su tela di media e piccola dimensione rappresentanti principalmente temi quali nature morte, animali e carte geografiche. Il palazzo all’epoca era ornato con armadi intagliati, tavoli e sedie di materiali nobili.
Verso la metà dell’800 la proprietà venne acquistata dalla famiglia de Marchi (altra importante dinastia udinese) e nel 1940 dalla Casa delle suore Zittelle di Udine. Durante l’ultimo conflitto mondiale la villa fu occupata dai partigiani della divisione Garibaldi Natisone che ne fecero una specie di comando e successivamente dalle truppe tedesche, mongole ed ucraine che lo spogliarono di tutto il mobilio ed arredamento.
Nel 1974 la storica residenza fu venduta alle Assicurazioni Generali dalle Suore Zittelle ed oggi il complesso è sede, come detto, dell’azienda agricola Torre Rosazza. Recentemente è stato disposto un restauro (2016-2019) eseguito dalla Soprintendenza di Udine che ha portato alla luce diversi affreschi del 700 e che ha ridato al palazzo l’antico splendore grazie alla volontà di emulare il mobilio originale in tutte le stanze della tenuta. La parte superiore della struttura edilizia è costituita da 4 stanze accessibili, per ora, alla sola dirigenza di Genagricola.
Volendoci soffermare sulla struttura di Palazzo Antonini – de Marchi sappiamo che è a pianta rettangolare con torri laterali sfalsate. La preesistenza medievale è riconoscibile nella merlatura spessa, come anche dalle feritoie. Il tema della merlatura aggettante sorretta da archetti e mensole di pietra caratterizza tutto il profilo del fabbricato principale. Vi sono due porte con arco a tutto sesto in pietra poste a nord-est e nord-ovest, la prima con piccola balaustra e colonnine tortili, mentre la seconda con poggiolo sorretto da quattro colonnine bugnate che proteggono il portoncino d’ingresso.
Gli interni affrescati del piano nobile sono databili alla metà del XIX secolo e si devono alla famiglia de Marchi. All’interno del lotto di proprietà delimitato da un alto muro, vi è anche una chiesetta dedicata all’Immacolata, anch’essa a pianta rettangolare con una parte più bassa destinata a sacrestia. La facciata presenta un timpano triangolare ed un’apertura centrale a semicerchio. La croce in sommità è sorretta da una colonnina piramidale in pietra. Nel giardino si può ammirare anche un belvedere con parapetto a colonnine e vasi in pietra che si affaccia sulla campagna circostante e un corpo scale che lo collega ai vigneti; qui si possono ammirare due leoni in pietra che, sembra quasi, facciano da guardie come a proteggere, con la loro forza, tutto l’ambiente circostante. Immerse in questo idillio, architettura, natura e viticultura si intrecciano tra loro a testimonianza di un passato importante che tuttora vive e che è ancora ben radicato sul territorio.
Il visitatore sarà accompagnato attraverso la storia e le vicende che hanno visto protagonista questo luogo. Ci sarà la visita degli interni dove si paleseranno antico e moderno al contempo. Si potranno infatti ammirare diverse sale del piano nobile arredate con mobilio d’epoca e la stanza più preziosa, quella degli affreschi. Durante l’ultimo restauro, finito nel 2019, gli stessi sono venuti alla luce facendo acquisire ancora più importanza al bene. I dipinti murali sono a grandezza naturale, così da far immergere la persona che li guarda direttamente nell’epoca storica dai quali provengono. Tutto questo verrà messo in netta contrapposizione con la parte moderna che ci riporta alla funzione odierna della tenuta, quella di azienda vitivinicola. Ci sarà poi la possibilità di scoprire tutta una serie di minuzie di particolari all’esterno, sia di Palazzo de Marchi, sia della Chiesetta, sia del Belvedere, per finire con una passeggiata agri-vitivinicola proprio nelle vigne sottostanti il giardino del complesso. Un’esperienza a 360 gradi per valorizzare e far conoscere una splendida realtà, un paesaggio culturale ancora autentico.
** Accesso disabili
10:00 – 13:00 / 14:30 – 18:00 (ultimo ingresso 17:30)Note: Turni di visita ogni 20 minuti. Gruppi di massimo 6 persone.
10:00 – 13:00 / 14:30 – 18:00 (ultimo ingresso 17:30)Note: Turni di visita ogni 20 minuti. Gruppi di massimo 6 persone.
Visite a cura di: Apprendisti Ciceroni Liceo “Paolo Diacono” con la collaborazione di studenti del Corso di Laurea in Scienze Agrarie dell’Università degli studi di Udine
PALMANOVA – BASTIONE DIFENSIVO: LUNETTA NAPOLEONICA
Fortificazione città di Palmanova (sito UNESCO), bastione villa Chiara – Porta Aquileia
Fuori dalla Porta Aquileia (direzione Grado) – sentiero a sinistra (frecce direzionali)
Aperture a cura di: GRUPPO FAI DI PALMANOVA
La “lunetta napoleonica” si inserisce nel contesto della terza cinta fortificatoria della piazzaforte di Palmanova. Si trova in corrispondenza del Bastione Villa Chiara ed è raggiungibile a piedi uscendo da Porta Aquileia (direzione Grado) attraverso i sentieri sulla sinistra dopo il ponte sul fossato.
La “lunetta napoleonica”, insieme ad altre otto, si inserisce nel contesto della nuova cinta fortificatoria – la terza – fatta erigere dal generale francese a partire dal 1806 per aumentare la capacità difensiva di Palmanova.
La fortezza stellata, ora parte del patrimonio dell’UNESCO, era stata edificata dalla Serenissima Repubblica di Venezia nel 1593 come baluardo difensivo contro i Turchi. Nel 1805 passò sotto il controllo dei Francesi che la strapparono agli Austriaci dai quali era stata assoggettata in seguito agli accordi del trattato di Campoformio (1797).
La lunetta si sviluppa su due piani: il piano terra e la sovrastante caponiera, con arco aperto, raggiungibile dal piano terra interno attraverso due scale in legno. Dalla caponiera, per mezzo di due scale in pietra originale, si scende sottoterra per percorrere la galleria che dalla lunetta porta direttamente al fossato, costruita dai Francesi per creare un collegamento diretto tra la terza cinta fortificata e i bastioni.
É un bene appena ristrutturato e non ancora aperto al pubblico. La visita guidata partirà direttamente dalla “lunetta”.
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Non ancora aperto al pubblico per restauro appena ultimato.
Turni visita ogni 30 minuti – presentarsi almeno 5 minuti prima dell’inizio della visita.
10:00 – 13:00 / 15:00 – 18:00 (ultimo ingresso 17:30)Note: Turni visita ogni 30 minuti – presentarsi almeno 5 minuti prima dell’inizio della visita.
10:00 – 13:00 / 15:00 – 18:00 (ultimo ingresso 17:30)Note: Turni visita ogni 30 minuti – presentarsi almeno 5 minuti prima dell’inizio della visita.
Visite a cura di: Apprendisti Ciceroni Istituto “Mattei” di Palmanova
RUDA – AMIDERIA CHIOZZA: IL NOSTRO LUOGO DEL CUORE
Via Luigi Pasteur località La Fredda di Perteole-Ruda
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI UDINE
L’Amideria Chiozza sorse nel 1865 lungo la roggia denominata La Fredda sui resti di un vecchio mulino, nella località omonima a Perteole, nella campagna della bassa friulana, inaugurando il ciclo chimico-industriale dell’estrazione dell’amido, dapprima dal frumento, poi dal mais e a partire dal 1872 dal riso.
La fabbrica nacque nel 1865 grazie al chimico Luigi Chiozza che con le sue profonde conoscenze scientifiche, rivoluzionò nella sua tenuta modello di Scodovacca le tecniche agricole per poi coniugare l’agricoltura e l’industria in un unico filone commerciale. Luigi Chiozza si era formato a L’ècole de chimie pratique a Parigi , tra i suoi compagni di studi c’era l’illustre chimico Louis Pasteur. Tra loro nacque un rapporto di amicizia e di collaborazione scientifica. Dal novembre 1869 al luglio 1870, Pasteur si stabilì nelle vicinanze di Ruda recandosi quotidianamente nel laboratorio dell’amico per effettuare esperimenti e studi che lo portarono a debellare la piaga della Pebrina, malattia del baco da seta che stava rovinando l’economia in vari Paesi europei. Nel 1889 la direzione della fabbrica passò al figlio Giuseppe e poi, con capitali triestini, nel 1902, ad una nuova società: la uova Pilatura Triestina. A questo periodo risale la grande ristrutturazione della fabbrica con l’introduzione di nuove caldaie e macchine per aumentare la produzione. la particolarità di questo stabilimento, unico nel suo genere, consisteva nel metodo di lavorazione, brevettato da L. Chiozza e nella piena sussistenza in vita di macchine e metodi di lavorazione concepiti, brevettati e rimasti in uso pressocché immutati per più di un secolo. I prodotti dell’amideria di Perteole avevano conquistato, oltre i mercati italiani, pure i mercati dell’Europa centrale e quelli di oltre Oceano, per l’eccezionale qualità del prodotto. La fabbrica chiuse definitivamente i battenti nel 1986 diventando un raro esempio di archeologia industriale, sia per i metodi estrattivi utilizzati che per la sua collocazione in un’area tuttora deprivata dal punto di vista industriale.
L’amideria, proprietà del Comune di Ruda, custodisce ancora oggi macchinari di fine Ottocento di straordinaria importanza dal punto di vista della storia industriale, anche se il complesso si trova in stato di profondo degrado, con numerose parti crollate.
L’edificio mantenne intatto l’accesso anteriore orizzontale, sviluppandosi nella parte retrostante in maniera longitudinale: a Nord c’erano i locali per la produzione e a Sud i magazzini e le officine nelle quali si lavoravano tutti i pezzi di ricambio originali, indispensabili per garantire l’autosufficienza del ciclo produttivo.
I Volontari che accompagneranno i visitatori in questo magnifico viaggio nel tempo, presenteranno l’amideria dal punto di vista storico-architettonico, percorreranno le fasi di lavorazione del prodotto e dopo la visita alla sala macchine arriveranno nella sala della macchina a vapore da poco recuperata con il contributo del FAI. Il restauro del macchinario, è stato realizzato grazie al grande impegno dei volontari dell’Associazione Amideria Chiozza, costituitasi nel 2014, e al supporto tecnico ‘scientifico del Museo della Tecnica di Brno, nella Repubblica Ceca, in cui si conserva la documentazione originale delle macchine della Ernst Brunn, ditta che realizzò l’apparato nel 1901. La macchina a vapore è una rara testimonianza della Prima rivoluzione industriale e l’amideria è l’unica fabbrica di amido in Europa a oggi ancora in possesso del sistema produttivo originale.
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo chiuso al pubblico perché in corso di restauro
**** Luogo con criticità. Area dismessa in fase di recupero
10:00 – 17:00 (ultimo ingresso 16:30)Note: Turni di visita da massimo 15 persone.
10:00 – 17:00 (ultimo ingresso 16:30)Note: Turni di visita da massimo 15 persone.
Visite a cura di: Associazione Amideria Chiozza
UDINE – AREA EX SAFAU Via Milazzo
Aperture a cura di: DELEGAZIONE FAI DI UDINE
L’area ex S.A.F.A.U. è un importante esempio di archeologia industriale all’interno del tessuto urbano della città di Udine. Copre una vasta quantità di terreno limitrofo alla ferrovia ed allo scalo ferroviario cittadino. Per il resto è circondata prevalentemente da edifici residenziali ed è da sempre oggetto di reinterpretazione a scala urbana che ne propongono una rilettura in chiave contemporanea.
Il nucleo originario della SAFAU si era formato nel 1939 per opera di Serafino Galotto, che raccolse l’eredità di una più antica ferriera di Udine, concepita nel 1880 e fondata con ragione sociale “ferriere di Udine” il 26 maggio del 1883 (che tuttavia disponeva di un forno Martin-Siemens e che diede lavoro all’inizio del Novecento a circa 750 operai). Nel 1942 l’azienda assunse il nome di “Società per Azioni Ferriere ed Acciaierie di Udine”. Già dopo cinque anni dalla sua costituzione la SAFAU comprendeva una acciaieria elettrica con forno da 4 t., una fonderia per getti in vari tipi di acciaio, due treni di laminazione per barre tonde, un reparto fucinatura e stampaggio a caldo, un’officina meccanica, un impianto per la produzione e compressione dell’ossigeno, un impianto per la produzione di acetilene, un reparto trafilatura, reparti per la manutenzione meccanica, elettrica fornellistica e modelli. Nel corso del 1948 venne installato il secondo forno elettrico da 8 t. e, nel 1949, si decise di installare un forno Martin-Siemens alimentato con nafta pesante, La prima colata del forno del nuovo stabilimento ebbe luogo la notte del 23 febbraio 1951. Il 1952 è l’anno del collegamento alle Ferrovie dello Stato. Gli anni cinquanta sono un periodo euforico per la siderurgia Europea, e anche la SAFAU, pure dopo che il Galotto lasciò lo stabilimento, proseguì nell’opera di sviluppo e miglioramento degli impianti. Nel 1955 entrò in funzione il forno elettrico ad arco da 40 t.; si diede inizio alla costruzione di un nuovo laminatoio per barre e profili e di un impianto per la colata continua dell’acciaio come pure, poco dopo, di un nuovo forno elettrico Lectromelt con 30 t. di capacità. Nel 1955 venne ordinato alla Concast-Innocenti la costruzione di un impianto a colata continua. Si trattava del primo impianto in Italia e del decimo in Europa.A partire del 1958 le prime contrazioni del mercato trovarono impreparata la SAFAU che chiese alla TECHINT un intervento risanatorio. Il 1975 è l’ultimo anno in cui fu in funzione il forno Martin-Siemens e la produzione iniziò a calare. Alla fine del 1957 la SAFAU produceva 70.000 t. d’acciaio e 24.000 t. di laminati, nel 1960 si passò a 130.000 t. d’acciaio e 55.000 di laminati. l’attività dell’acciaieria dagli ultimi anni cinquanta fino al 1962 era dedicata principalmente alla produzione di lingotti da trasformare in tubi senza saldatura, che venivano esportati in gran quantità, soprattutto in America Latina. Nel 1969 funzionavano alla SAFAU 4 forni: da 4, da 8 e da 40 t. e il forno Martin-Siemens. Dal 1970 al 1974 questi forni produssero mediamente – con l’esclusione di quello a 4 t. dismesso i primi mesi del 1970 – 154.000 t. d’acciaio all’anno. Nel 1976 fu inaugurata la nuova SAFAU a Cargnacco, delocalizzazione resa necessaria da significative considerazioni ambientali. Con l’inaugurazione del nuovo impianto produttivo, la vecchia SAFAU precipita in una grave crisi produttiva, fino alla definitiva e totale dismissione degli impianti. Il 1978 è l’anno del definitivo passaggio nel nuovo stabilimento. Le conseguenze della crisi del 1981 resero necessario il decreto, emesso dal Ministero dell’Industria il 28 novembre 1981, con il quale la SAFAU fu posta in amministrazione straordinaria. Nel 1989 lo stabilimento di Cargnacco fu acquistato dalle Officine Bertoli fu Rodolfo e venne variata la denominazione sociale in ABS s.p.a. (Acciaierie Bertoli Safau).
Il sito industriale, posto nei pressi della stazione ferroviaria di Udine, in una zona adiacente al centro città, è composto dalla portineria d’ingresso in via Milazzo, che storicamente era l’ingresso secondario, e diverse strutture in evidente stato di abbandono. Fra queste, si osserva l’edificio della colata continua, in muratura e cemento armato, vari capannoni, fra cui il laminatoio ed il carroponte e la ciminiera, collegata al forno Martin-Siemens, ancora esistente. Il ciclo produttivo partiva dal parco rottami, dove, dopo una prima iniziale cernita, veniva preso il materiale da portare nei forni. Qui questo materiale veniva fuso, venivano aggiunti gli elementi necessari per produrre il tipo di acciaio che si voleva produrre, e successivamente colato “in fossa”, cioè in appositi contenitori, nei quali raffreddandosi assumeva la forma di un lingotto. Successivamente, i lingotti passavano al laminatoio dove avrebbero assunto la loro forma definitiva.
Il bene, normalmente inaccessibile e chiuso al pubblico, verrà reso visitabile grazie all’intervento di bonifica dei percorsi da parte della proprietà. Attraverso il racconto degli “Amis de Safau” sarà possibile conoscere la storia della acciaieria e delle tante storie di vita vissuta che si intrecciano tra le maglie del tessuto urbano e architettonico di questo angolo di città. Una storia fatta di duro lavoro, di perdite, di incontri, di amicizie, alcune delle quali continuano ancora oggi. E proprio gli infaticabili ex lavoratori della SAFAU, ci accompagneranno in un percorso fatto di ricordi che impongono una narrazione doverosa per non perdere le tracce di memoria di un sito che lascia ancora trasparire la pienezza degli edifici, le storie vissute, la forza delle strutture che giacciono adagiate in un’insula urbana strategica per il ripensamento della città.
*** Luogo normalmente chiuso al pubblico. Luogo solitamente chiuso al pubblico perché di proprietà privata
**** Luogo con criticità. Area industriale dismessa
10:30 – 13:00 / 14:30 – 17:30 (ultimo ingresso 12:30 e 17:00) Note: Gruppi di massimo 10 persone.
10:30 – 13:00 / 14:30 – 17:30 (ultimo ingresso 12:30 e 17:00) Note: Gruppi di massimo 10 persone.
Visite a cura di: Amis de Safau
Foto anteprima: palazzo Altan San Vito al Tagliamento