Valore aggiunto, il cambio di passo dell’industria in Fvg
È un autentico cambio di passo quello realizzato dall’industria del FVG, la quale, dal 2015 in poi, ha sopravanzato non soltanto quella italiana, ma anche quella tedesca e francese.
È quanto emerge da un’analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati Eurostat, Istat e Prometeia.
Se nel periodo 2001-2014 in FVG l’industria in senso stretto (escludendo quindi il comparto delle costruzioni) ha viaggiato ad un ritmo decisamente inferiore a quello delle due principali economie europee, nel 2015-2019 ha registrato una crescita media annua del valore aggiunto del 3,3%, ben superiore a quella italiana e tedesca, 1,9%, e soprattutto rispetto a quella francese, 1,1%.
Nel 2021, rispetto al 2019, pre-pandemia, l’industria regionale ha fatto segnare una variazione positiva del valore aggiunto (a valori concatenati 2015) dello 0,7%, mentre l’industria italiana era ancora leggermente al di sotto dei livelli precrisi, -0,6%. Molto più distanti dai livelli pre-Covid risultavano ancora l’industria tedesca, -5,6% e francese, -3,1%.
La performance dell’ultimo biennio e l’andamento registrato dal 2015 non sono casuali, ma riflettono il risultato delle riforme e delle politiche economiche introdotte tra il 2015 e il 2017, in primis Industria 4.0, che hanno determinato un rafforzamento strutturale della manifattura regionale.
Se si prende in considerazione l’intero valore aggiunto regionale (il 43% del quale è prodotto in provincia di Udine), si nota che a fine dello scorso anno si è ancora su un livello leggermente inferiore (-0,9%) a quello pre-pandemia del 2019 a causa dell’andamento negativo del settore dei servizi, al cui interno alcuni comparti (turismo, ristorazione) hanno subito più pesantemente le conseguenze delle chiusure e delle restrizioni. Il dato, comunque, è migliore rispetto a quello registrato in Italia (-2,9%), Germania (-2,1%), Francia (-1,9%).
Analizzando più in dettaglio i dati di contabilità nazionale riferiti ai singoli paesi, emerge che la manifattura italiana (escludendo quindi dall’industria in senso stretto, oltre alle costruzioni, anche i comparti della fornitura di energia elettrica, di gas, di acqua e le attività di trattamento rifiuti) ha registrato una crescita del tasso medio annuo del valore aggiunto nel periodo 2015-2019 del 2,1% contro l’1,6% della Germania e l’1,5% della Francia. Nel biennio 2021/2019 la manifattura italiana ha segnato una variazione del valore aggiunto dello 0,4%, mentre quella tedesca ha subito un calo del 5,8% e quella francese del 5,1%.
L’analisi non prende in considerazione le stime per il 2022, dato che al momento è difficile prevedere l’impatto sull’economia di quanto sta succedendo a causa del conflitto in Ucraina. Appare in ogni caso inevitabile una correzione al ribasso del Pil per l’anno in corso e, conseguentemente, un freno a che quella che appariva, fino a qualche settimana fa, una ripresa solida, nonostante le variabili inflattive già in atto.
In FVG, dopo il crollo del Pil nel 2020 per effetto della pandemia (-7,5%, la riduzione più contenuta fra tutte le regioni italiane) e il robusto rimbalzo, superiore alle attese, registrato lo scorso anno (+7,1%), la stima di crescita per il 2022, ipotizzata ad inizio anno di poco inferiore al 4% e già limata di uno 0,7% per il livello raggiunto dall’inflazione, verrà ulteriormente rivista al ribasso a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia (il Pil nei primi due trimestri del 2022 potrebbe registrare una variazione congiunturale negativa).
L’effetto più evidente della guerra è l’impennata dei prezzi di gas, petrolio e di altre commodity, che erano già elevati prima del conflitto. Questi rincari accrescono i costi degli input produttivi delle imprese e innalzano i prezzi al consumo riducendo il potere d’acquisto delle famiglie. La guerra, inoltre, sta ampliando le difficoltà di reperimento delle materie prime e accrescendo il rischio di interruzioni nelle produzioni industriali dovute anche ai colli di bottiglia in alcune catene di fornitura. Influenza, inoltre, negativamente la fiducia degli operatori e, quindi, le decisioni di investimento delle imprese e di consumo delle famiglie.
In questo contesto, anche il PNRR va ripensato, cambiandone le priorità, per scongiurare il rischio che il potenziale dello stesso non venga messo a terra al cento per cento. Già ora, infatti, alcuni investimenti potrebbero essere di difficile realizzazione ai prezzi attuali (con gare d’appalto che vanno deserte e cantieri che si fermano, anche per mancanza di manodopera oltre che di materiali).
Le criticità lamentate in questi mesi, in realtà, hanno scoperchiato il vaso di Pandora delle fragilità di fondo del sistema economico italiano ed europeo e impatteranno ben oltre il 2022. Per questo è necessario ridisegnare profondamente e subito le politiche economiche italiana e comunitaria. A cominciare dall’energia. La mancanza di visione e di prevenzione è emersa e la stanno pagando in prima battuta le imprese.
Glossario:
Prodotto interno lordo (Pil): è pari alla somma del valore aggiunto delle varie branche di attività economica, aumentata delle imposte sui prodotti (compresa l’Iva e le imposte sulle importazioni), al netto dei contributi ai prodotti.
Valori concatenati: misura in volume degli aggregati di contabilità nazionale che permette di rappresentare la dinamica delle grandezze economiche al netto delle variazioni dei prezzi.
Valore aggiunto: differenza tra il valore della produzione di beni e servizi ed il valore dei costi intermedi sostenuti a fronte di tale produzione.