Quanti caffè al giorno posso bere?
Quanta caffeina posso prendere?”, “quanti caffè al giorno posso bere?”, “e quanto sensibile sono al nichel?”: le domande di molti friulani potranno trovare una risposta scientifica grazie ai nuovi screening genetici a cui ci si può sottoporre a Udine nell’ambulatorio della biologa nutrizionista Marta Ciani.
Conoscendo la predisposizione del nostro organismo alla metabolizzazione della caffeina, possiamo modularne il consumo.
“Il metabolismo della caffeina – spiega la dottoressa – è determinato dalla genetica: analizzando due geni specifici (CYP1A2 e AHR), si verifica se la persona presenta una particolare reazione alle sostanze psicoattive contenute nel caffè e più in generale nella caffeina che si trova anche in molte bevande energizzanti, nella coca cola, nelle bibite analcoliche, ma anche nel cacao, cioccolato, tè e in alcune medicine”.
Il caffè appartiene alla famiglia degli alcaloidi, quindi, essendo un eccitante, ha un meccanismo simile alle droghe: può creare dipendenza. La caffeina è metabolizzata nell’organismo dall’enzima citocromo p450 1A2. Ogni persona possiede due copie del gene CYP1A2 (una copia ricevuta da ciascun genitore). Sono due le varianti del gene che riguardano la metabolizzazione della caffeina nell’organismo: una variante codifica l’enzima che metabolizza la caffeina in maniera rapida, mentre l’altra quello a metabolizzazione lenta. Gli individui che posseggono due copie dell’allele per la metabolizzazione rapida sono metabolizzatori veloci della caffeina, mentre le persone che presentano anche solo una copia dell’allele per la metabolizzazione lenta sono metabolizzatori lenti. I metabolizzatori lenti devono monitorare la dose quotidiana, se la consumano in maniera eccessiva (più di 2 tazze di caffè o 200 mg di caffeina al giorno) si possono manifestare effetti negativi sull’organismo, incluso un aumentato rischio di infarto.
Se si ha la predisposizione, ovvero il polimorfismo espresso nei due geni, è meglio ridurre la frequenza con cui bere il caffè, al massimo 1 al giorno; se non si presenta il polimorfismo è opportuno comunque – raccomanda la Ciani – non superare i tre caffè al giorno, in quanto la caffeina si concentra nel sangue.
Ovviamente, il consiglio è di sorseggiare il caffè rigorosamente senza zucchero, non solo perché si assapora l’autentico aroma della bevanda, ma anche perché si evita l’innalzamento della glicemia.
Nessuno nega gli effetti positivi di una delle bevande più consumate al mondo: incrementa le capacità attentive, ritarda la sensazione di fatica, seppure in maniera temporanea, migliora i riflessi, aumenta la concentrazione, ha una blanda azione analgesica, ma si badi bene: “Il caffè accresce l’attenzione per 15 minuti, poi l’effetto svanisce, mentre se si beve una spremuta d’arancia il livello di attenzione durerà addirittura un’ora!”, svela la nutrizionista. Anche gli sportivi consumano caffè a certe quantità perché migliora, essendo un vasodilatatore, le performance agonistiche.
Attenzione, pero: chi è iperteso, è tachicardico, soffre di gastriti, dovrebbe a prescindere limitare il più possibile il caffè, prediligendo altre sostanze, come il ginseng, il caffè verde o l’orzo.
Accanto al pannello inerente la caffeina, la dottoressa propone anche un nuovo screening legato alla sensibilità al nichel. I geni oggetto di screening, in questo caso, sono: TNFα (fattore che indica il livello di infiammazione dell’organismo) e CLDN1. “Il nichel è un metallo pesante che crea un danno al nostro intestino; lo troviamo ovunque: acqua, suolo, cibo”. Ed è proprio il canale alimentare a rappresentare la principale via di esposizione. Composti del nichel metallico si trovano anche in numerosi oggetti come orecchini, orologi, cellulari, impianti dentali e ortopedici, stent cardiovascolari”, rende noto la nutrizionista che costata una continua crescita del fenomeno di sensibilità evidenziata dalla frequente “sindrome sistemica da allergia al nichel (SNAS)”. Del resto, trovandosi nel terreno e nelle falde acquifere, questo metallo viene assorbito dagli organismi viventi ed è pertanto presente in tantissimi alimenti di origine animale e vegetale.
Chi è sensibile al nichel deve assolutamente limitare le fonti con cui viene a contatto. Fra i sintomi di una intolleranza al nichel possiamo trovare: pruriti e dermatiti da contatto in varie zone del corpo, afte o infiammazioni boccali e gengivali; gonfiori o crampi addominali; sbalzi di peso; nausea, gastrite e colite; malessere generale diffuso; cistite; difficoltà respiratorie, rinite, asma; tachicardia; vertigini, emicrania e giramenti di testa; perdita di capelli. I sintomi sono determinati dalla quantità di nichel che l’organismo ingerisce o con cui viene a contatto.
In caso di ingestioni elevate in un soggetto sensibile, si può arrivare a sviluppare disturbi gastrointestinali anche gravi, come l’emorragia gastrica.
Prevenire si può e si deve.
Il test genetico è il metodo per valutare come gli alimenti interagiscono sull’organismo, definendo stili alimentari e comportamentali capaci di ottimizzare l’efficacia dei nutrienti e prevenire eventuali criticità legate all’assunzione di cibi con elevate percentuali di nichel. www.martacianinutrizionista.it
Scritto da Irene Giurovich
Da IL PAîS gente della nostra terra – edizione cartacea agosto 2023
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Buona lettura !