Ridurre il divario salariale tra uomini e donne: una priorità per l’Italia
Oggi la ricorrenza dell’Equal Pay Day. Nel nostro Paese un gap retributivo del 28%, oltre il doppio della media Ue. Duz (Cgil): “Pesano anche gli stereotipi e l’iniqua divisione dei carichi familiari”
Un mese e mezzo senza retribuzione, dal 15 novembre fino al 31 dicembre. È questa, in termini di tempo, la misura del gap fra le retribuzioni medie maschili e femminili in Europa. Da qui la scelta del 15 novembre come Giornata europea della parità retributiva (Equal Pay Day), per rafforzare gli obiettivi della direttiva sulla Trasparenza retributiva, la 970 del 2023, che anche l’Italia sarà chiamata a recepire entro il 2026.
«La questione è europea – dichiara Daniela Duz, responsabile politiche di genere e pari opportunità della segreteria Cgil Friuli Venezia Giulia – ma prima di tutto italiana, se è vero come è vero che il Italia il gender gap medio sulle retribuzioni settimanali è addirittura del 28%, con punte superiori al 30% nel privato, quindi più del doppio rispetto alla media Ue. Differenze che si ripercuotono amplificate sugli importi dei trattamenti pensionistici, con un divario medio vicino al 60%». A pesare, spiega Duz, «non c’è soltanto il fatto che il lavoro femminile si concentri in settori dove il livello retributivo è più basso e dove è più diffuso il ricorso a contratti precari o al part-time, spesso involontario, come il commercio o i servizi alla persona, ma anche costumi, abitudini e stereotipi purtroppo radicati che continuano a penalizzare le donne sia sul mercato del lavoro, sia nella distribuzione dei carichi familiari, e in particolare del lavoro di assistenza e di cura nei confronto dei minori e degli anziani». Svantaggi che condizionano fortemente le carriere delle donne, le loro prospettive e le loro retribuzioni anche nelle fasce più alte del mercato del lavoro, contribuendo a consolidare i gap retributivi anche a livello familiare, per cui, quando si tratta di scegliere qual è il lavoro che fa sacrificato, sono quasi sempre le donne a dover fare un passo indietro.
«Per rompere questo circolo vizioso – dichiara Duz – bisogna agire in primo luogo con gli strumenti della contrattazione, di primo e di secondo livello, rendendo concreta la pratica della contrattazione di genere, rivendicando e ottenendo dalle aziende misure che favoriscano concretamente, attraverso il ricorso alla contrattazione di genere, la riduzione del divario retributivo, come previsto anche dalla direttiva europea. Obiettivo, questo, che va supportato anche da adeguati interventi in campo legislativo, a partire dal recepimento della direttiva sulla Trasparenza retributiva e da una legge che renda obbligatorio il congedo di paternità paritario, favorendo la diffusione di una cultura della condivisione dei carichi familiari tra uomo e donna».