Svelati nuovi misteri geologici sotto il ghiaccio dell’Antartide
l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste partecipa al gruppo internazionale di lavoro che ha sviluppato la prima “fotografia” magnetica del Polo Sud
lo Studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Scientific Reports
TRIESTE, 12 MARZO 2021 – Nuove conoscenze sulla geologia nascosta sotto alle calotte di ghiaccio dell’Antartide e sull’evoluzione tettonica della Terra, avvenute nel corso di miliardi di anni, sono state scoperte da un team internazionale di scienziati che sono riusciti a risolvere uno dei puzzle geologici del nostro pianeta grazie all’utilizzo combinato di rilevazioni satellitari e aeree.
Lo studio – Il gruppo di ricerca, di cui fanno parte l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, il British Antarctic Survey e la Witwatersrand University in Sud Africa, coordinati dall’Università tedesca di Kiel, ha utilizzato i dati magnetici dei satelliti della missione Swarm dell’ESA combinandoli con quelli rilevati dagli aerei, per studiare la geologia subglaciale dell’Antartide e collegarla con quella di Australia, India e Sud Africa, che formavano l’antico supercontinente chiamato Gondwana. Utilizzando i nuovi dati magnetici è stato possibile ricostruire come le placche tettoniche si siano separate tra loro nel corso di milioni di anni dopo la rottura del Gondwana e correlare i principali cratoni e orogeni, strutture geologiche che compongono la crosta terrestre, nei diversi continenti prima della loro separazione.
L’esperto – Allo studio ha partecipato Fausto Ferraccioli, recentemente nominato direttore della Sezione di Geofisica dell’OGS e rientrato in Italia dopo 18 anni al British Antarctic Survey.
“Da decenni cerchiamo di ricostruire i misteriosi legami geologici tra l’Antartide e gli altri continenti. Sapevamo che le rilevazioni magnetiche svolgono un ruolo fondamentale, perché ci permettono di esplorare la geologia nascosta sotto alle spesse calotte glaciali antartiche” spiega Ferraccioli. “Ma ora possiamo fare molto meglio. Con la combinazione dei dati satellitari e aeromagnetici, possiamo guardare più in profondità nella crosta. Insieme alle ricostruzioni delle placche tettoniche, possiamo costruire innovativi modelli magnetici della crosta, collegando tra loro diversi studi geologici e geofisici in continenti oggi separati da immensi oceani. Strutture geologiche antiche, come cratoni e orogeni, in Africa, India, Australia e Antartide orientale sono ora collegati meglio che mai” precisa Ferraccioli.
Il contesto e gli sviluppi – L’Antartide è un ambiente estremo in cui un’enorme calotta di ghiaccio copre la terra sottostante, rendendo la raccolta di informazioni geofisiche impegnativa e costosa. Grazie alla metodologia di combinazione di dati magnetici dei satelliti con le misurazioni aeree, gli scienziati stanno ora aprendo la strada alla comprensione del continente meno accessibile della Terra, come dimostrano i risultati appena pubblicati sulla rivista Nature Scientific Reports. I nuovi dati magnetici, da satellite e da aereo, sono uno strumento prezioso per la comunità scientifica internazionale per studiare la geologia nascosta sotto i ghiacci dell’Antartide e l’influenza che essa ha sulle calotte glaciali sovrastanti.
Il supercontinente che non c’è più – Il Gondwana era un amalgama di continenti che comprendeva Sud America, Africa, Arabia, Madagascar, India, Australia, Nuova Zelanda e Antartide. Quando questi continenti si scontrarono tra loro nel periodo Precambriano e nel Cambriano inferiore, circa 600-500 milioni di anni fa, si formarono enormi catene montuose, paragonabili all’Himalaya e alle Alpi moderne. Questo supercontinente ha iniziato a frammentarsi circa 180 milioni di anni fa, lasciando infine l’Antartide isolata al Polo Sud e ricoperta da immense calotte glaciali da 34 milioni di anni fa ad oggi.
Foto anteprima : Figura 1 – Sud Africa: in alto a sinistra carta aeromagnetica e in alto a destra la nuova carta corretta con i dati ESA da satellite (Swarm). In basso a destra è evidenziato il cratone del Kaapvaal che copre un’area di circa 1.200.000 km² e che, dallo studio pubblicato su Nature Scientific Reports, viene collegato magneticamente con il cratone Grunehogna dell’Antartide orientale.
Fausto Ferraccioli