Obbligo di Green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro
La nota della presidente di Confindustria Udine, Anna Mareschi Danieli
Come sempre, il ragionamento del nostro primo ministro è impeccabile. È logico, coerente e lineare.
Dal 15 ottobre, l’Italia potrebbe essere il primo Paese europeo in cui per entrare in qualunque luogo di lavoro servirà il green pass. Dico potrebbe perché questo mondo ci ha insegnato a non dare mai nulla per scontato. Oggi, giovedì 16 settembre alle 16, è atteso il Consiglio dei ministri che dovrebbe varare il decreto, dopo la convocazione a Palazzo Chigi della cabina di regia con i capi delegazione dei partiti e la successiva audizione dei presidenti delle Regioni.
L’orientamento è quello di prevedere il certificato verde per tutti, dipendenti pubblici e privati.
Il criterio adottato per definire il perimetro del provvedimento è dunque quello dell’accesso ai luoghi di lavoro. E la ratio dell’estensione generalizzata è quella di incrementare il più possibile le vaccinazioni, prima che arrivi il freddo e la pandemia possa conoscere una nuova fase di recrudescenza. Va da sé, quindi, che la concessione gratuita dei tamponi a chi, per scelta, non si è vaccinato, non verrà presa in considerazione, se si continuerà sulla linea della coerenza. Forse verrà presa in considerazione la calmierazione del prezzo. Ma non lo riterrei opportuno, dato che significherebbe che lo Stato e quindi i cittadini pagano il prezzo o la riduzione del prezzo del tampone per quegli altri cittadini che non si sono vaccinati per ragioni altre da quelle mediche.
L’obiettivo è quello di raggiungere nell’arco di 30 giorni un numero di persone immunizzate così alto da consentire al nostro Paese di entrare in una zona di sicurezza.
Nel caso così non fosse, sarà allora il momento di prendere in considerazione l’ipotesi dell’obbligo vaccinale.
Immaginiamo ora come “dovrebbe” funzionare il Green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro: all’ingresso degli uffici e delle aziende i dipendenti dovranno esibire la certificazione verde e il responsabile delle verifiche sarà un capo ufficio o un capo reparto, che dovrà essere individuato dai vertici aziendali come sta già avvenendo nelle scuole e nelle università con il dirigente.
Il controllo agli ingressi servirà anche a verificare che l’identità del lavoratore corrisponda effettivamente a quella annotata sulla certificazione verde.
Le ulteriori verifiche circa l’autenticità del green pass dovrebbero poter essere effettuate direttamente, ma anche richiedendo l’intervento delle forze dell’ordine per accertamenti relativi a eventuali falsi.
Le sanzioni per il settore pubblico saranno uguali a quelle già previste per il personale scolastico e appare scontato — trattandosi di un unico provvedimento — che il settore privato seguirà a ruota.
Al momento dell’ingresso, chi non ha il green pass non potrà essere ammesso all’interno delle aziende e verrà considerato assente ingiustificato. La violazione dell’obbligo di avere il certificato pare sarà punita con una multa tra 400 e 1.000 euro. La sanzione pecuniaria potrà essere aumentata in caso di contraffazione del documento. In questo caso potrà scattare anche la denuncia.
Dopo cinque giorni di assenza ingiustificata il rapporto di lavoro è sospeso e non sono dovuti retribuzione e altri compensi o emolumenti. La riammissione in servizio è subordinata al possesso di valida certificazione verde. La sospensione del rapporto di lavoro non è qualificabile come sanzione disciplinare.
Il tampone rimarrà gratuito per le persone cosiddette fragili, mentre per gli altri è possibile che sia istituita una finestra temporale in cui non sarà a pagamento soltanto in attesa che chi vuole vaccinarsi riesca a sottoporsi almeno alla prima dose, poi invece si dovrà pagare. Esattamente il ragionamento che Confindustria Udine, CGIL e CISL UIL hanno fatto firmando l’accordo del 1 settembre 2021, che prevedeva la possibilità, per le aziende che ricadevano in determinati criteri, di sostenere il costo dei tamponi ai “vaccinandi”. Siamo quindi perfettamente allineati.