Lockdown a Shanghai, si ferma anche il porto
Ennesimo shock per la catena di fornitura delle nostre imprese ma il vero problema resta l’energia
La situazione, arrivati a questo punto, richiede non parole, ma interventi comunitari e nazionali rapidi per risolvere l’enorme problematica della dipendenza energetica del nostro Paese. Bisogna attuare azioni immediate per ridurre le forniture energetiche esterne, non soltanto russe, ma anche quelle che derivano da tubature, degassificatori, eccetera, che restano in ogni caso strutture soggette a variabili non controllabili e con un elevato costo di mantenimento e manutenzione, che mina e continuerà a minare la competitività del nostro sistema industriale e del bilancio delle famiglie.
Cosa serve è chiaro: impianti solari ed eolici al Sud, utilizzo dei giacimenti di gas nazionali (eventualmente adriatici) con un programma di produzione di energia nucleare per idrogeno green. Ma ad oggi un programma accelerato ancora non esiste.
E, come se non bastasse, a questo gigantesco problema si aggiungono di volta in volta altri ostacoli con dinamiche temporali (probabilmente) temporanee, ma non per questo meno impattanti.
L’esempio eclatante arriva dalla Cina, dove le autorità mantengono ancora una linea anti-Covid durissima, articolata su un lockdown che ha bloccato in casa 25 milioni di persone a Shangai. Queste misure hanno provocato un ingorgo di proporzioni gigantesche al locale porto, il principale scalo marittimo cinese e il più grande porto commerciale del mondo, dove ogni anno transitano circa quarantasette milioni di TEU (unità di misura delle unità di container equivalenti a 20 piedi).
Fra le oltre 500 navi mercantili attualmente ferme davanti alla costa di Shanghai a decine sono cariche di metalli raffinati e altre sono in attesa di caricare materiali pronti per la distribuzione commerciale. I ritardi nelle consegne cominciano ad essere imprevedibili e stanno impedendo sia alle imprese di rispettare i termini di consegna dei beni lavorati o dei componenti che agli esercizi commerciali di avere alcune merci da esporre in vendita.
A titolo di paragone, durante il lockdown del 2021, la ‘coda’ di navi dentro e fuori il porto di Shanghai non era mai salita oltre quota 200 e per questo si temono conseguenze ben più forti sul commercio mondiale rispetto a quelle viste nel recente passato se le autorità cinesi non allenteranno le restrizioni imposte dalla politica del cosiddetto “Covid zero”.
Tutta la logistica delle merci è fortemente rallentata; le maggiori criticità riguardano le operazioni di carico e scarico, le necessarie formalità burocratiche ma anche il trasporto via terra. Agenzie di stampa riferiscono che i permessi per i camion che entrano ed escono nell’area portuale hanno una durata di appena 24 ore, ma l’attesa per gli autisti si protrae spesso oltre le 40 ore complicando l’intera catena distributiva.
L’intera logistica mondiale, già provata dalla pandemia e dai più recenti effetti negativi prodotti dal conflitto russo-ucraino, dunque, sta soffrendo per questa ennesima, pesante strozzatura, seppur, auspichiamo, temporanea, con treni che partono dai porti degli altri continenti mezzi vuoti, e prezzi dei containers e dei trasporti che salgono e scendono non più secondo la classica legge della domanda e dell’offerta, ma in base a logiche imprevedibili, legate prima di tutto alla loro semplice disponibilità.
Per avere un’idea, basta dire che affittare un container da 40 piedi da Shanghai a Rotterdam fino all’estate scorsa costava non più di 2.000 dollari, poi nell’autunno le tariffe sono schizzate fino a 13.000 dollari e oggi oscillano su cifre analoghe.
La scarsità di merci sta lentamente plasmando quella che gli economisti chiamano crisi da offerta. In pratica i beni prodotti dall’industria sono molti meno di quelli richiesti dal mercato e questo fenomeno finisce anch’esso per alimentare l’inflazione, già schizzata negli ultimi mesi a livelli record.
Oltre all’aumento dei prezzi delle materie prime, stanno lievitando i listini di numerosi beni, ad esempio quelli delle automobili perché la domanda resta forte, ma nessun costruttore riesce a produrre di più. Tali effetti, a cascata, finiscono per trasferirsi trasversalmente su tutti i comparti produttivi manifatturieri, dalla meccanica al legno arredo, dalla chimica alla plastica, per citarne soltanto alcuni.
Gli effetti del blocco del porto di Shanghai saranno evidenti tra circa 40 o 50 giorni, periodo corrispondente al tempo medio di percorrenza di un container che da Shanghai deve arrivare nei porti più occidentali. È praticamente impossibile quantificare eventuali danni economici – diretti e indiretti, immediati e a medio termine – generati da questo nuovo fronte di sofferenza sul versante della logistica, ma per comprendere cosa c’è potenzialmente in ballo, a livello nazionale e territoriale, basta ricordare alcuni dati sull’interscambio commerciale con la Repubblica Popolare Cinese, tenendo conto che la quota preponderante delle merci che compriamo e vendiamo in Cina viaggia via nave e che il porto di Shanghai è il principale scalo marittimo interessato da tali flussi di merci.
La Cina per l’Italia rappresenta il nono partner commerciale per valore di beni esportati e il terzo per beni importati. Nel 2021, secondo le elaborazioni dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine, le esportazioni italiane in Cina, rispetto all’anno precedente, sono aumentate del 22,1% (passando da 12.851 a 15.691 milioni di euro) e del 21% rispetto al 2019.
Le importazioni, invece, sono cresciute del 19,4%, da 32.256 a 38.525 milioni di euro. La principale voce di esportazioni sono i macchinari, +12,9% la variazione tendenziale nel 2021 (da 3.777 a 4.265 milioni di euro).
La Cina per il FVG rappresenta il 14° partner commerciale per valore di beni esportati ed il terzo per beni importati. Nel 2021 le esportazioni del FVG in Cina, rispetto all’anno precedente, sono diminuite del -2%, passando da 418 a 368 milioni di euro. Erano 425 nel 2019. Le importazioni sono cresciute del 26%, da 547 a 690 milioni di euro (erano 556 nel 2019, +24% 2021/2019). La principale voce di esportazioni sono i macchinari, -15,2% la variazione tendenziale nel 2021 (da 277 a 240 milioni di euro).
I principali prodotti importati nel 2021 sono macchinari (+20,6%, da 137 a 165 milioni di euro), computer e prodotti di elettronica (+12,6%), apparecchiature elettriche (+46,6%).
Questo lockdown in Cina sta già avendo un impatto significativo sulle supply chain globali. Se non verrà presto rimosso, nel breve termine si prevede un rallentamento della domanda di trasporto. Quando la situazione tornerà, sperabilmente, alla normalità si tornerà a vedere una spinta improvvisa verso l’alto delle spedizioni e, conseguentemente, delle tariffe per i trasporti via mare. Extracosti che, come ormai siamo abituati, finiranno inevitabilmente per gravare sulle nostre imprese manifatturiere.