Inaugurata la grande mostra “Insieme” di Casa Cavazzini
Attraversare la mostra «Insieme» (Udine, Casa Cavazzini, 18 febbraio – 16 luglio 2023) significa rivedere la propria vita, i momenti, le figure, i contatti e gli ambienti, i desideri e le fatiche, gli abbracci e le lacrime più importanti. In altre mostre si ammirano opere e linguaggi scelti dagli artisti per lasciare un segno nelle materie e nelle anime, ma in questa è davvero impossibile vedere soltanto immagini e forme “là fuori”: ci si trova di nuovo bambini, di nuovo innamorati, di nuovo soli, di nuovo nella compagnia con cui abbiamo condiviso sogni e battaglie. È come uno specchio per l’anima, questa mostra, che comincia con un’opera che ha al centro uno specchio – quella di Salvador Dalí – e che tra le ultime opere presenta quella di Michelangelo Pistoletto, Autoritratto, dipinta appunto su metallo levigato a specchio affinché esplicitamente l’opera includa noi che vi sostiamo dinnanzi.
La mostra «Insieme» è la seconda della serie Udine Grandi Mostre, voluta con forza dal Comune di Udine e motivo degli importanti interventi di adeguamento della struttura di Casa Cavazzini. L’esperienza precedente, che ha portato circa 60mila visitatori a contemplare le opere de «La forma dell’infinito», ha lasciato un segno estremamente positivo per la qualità delle opere proposte, per i messaggi offerti alla riflessione dei visitatori e anche perché costituisce un importante catalizzatore di sviluppo turistico e commerciale per la città di Udine e per tutto il Friuli Venezia Giulia, che si consolida come luogo di cultura riconosciuto a livello nazionale e internazionale.
Come la precedente, questa seconda grande mostra nasce dalla collaborazione tra il Comune di Udine e l’associazione culturale Comitato di San Floriano di Illegio, che oltre a pensare, organizzare e allestire l’esposizione «Insieme» continua a proporre ogni anno un’altra mostra in Carnia a Illegio, come farà anche a partire dal prossimo 21 maggio 2023 – il titolo e il tema della prossima mostra di Illegio sarà svelato tra un mese –.
L’impegnativa mostra in Casa Cavazzini, «Insieme», è resa possibile perché a questa cooperazione tra Udine e Illegio prendono parte come alleati convinti diversi soggetti. Le prime alleate sono quattro istituzioni: la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, con gli assessorati alla cultura e al turismo; PromoturismoFVG, con la sua importante azione di promozione strategica; la Camera di Commercio di Pordenone-Udine; la Fondazione Friuli. Accanto a queste realtà, 20 imprese costituiscono la cordata della bellezza che investe su questa grande mostra nella convinzione che essa giovi al bene delle persone e allo sviluppo del territorio. Sintetizza bene lo spirito di questa partecipazione la voce di Albino Belli, Direttore Estenergy, come main sponsor:
«La mostra “Insieme” per il Gruppo Hera ed il marchio Amga Energia & Servizi rappresenta l’occasione per rinnovare la propria collaborazione agli organizzatori e alle istituzioni locali nella realizzazione di questo secondo importante appuntamento, grazie al quale Udine rientra a pieno titolo nei circuiti espositivi internazionali. La creazione di valore condiviso è parte integrante del nostro approccio strategico che coniuga i risultati aziendali con le ricadute positive per i territori che ne hanno determinato il raggiungimento. Mi fa inoltre piacere ricordare che il titolo scelto per questa mostra è lo stesso scelto da Hera, nel 2022, per celebrare i 20 anni di attività del Gruppo».
Innegabilmente, un flusso prevedibilmente superiore ai 70mila visitatori ha ricadute anche sul tessuto commerciale cittadino e al tempo stesso lo stimola l’accoglienza: così, ad esempio, per l’iniziativa Taj Fashion Week (17.18 febbraio 2023, Udine) si è scelto di coinvolgere ristoranti, cantine ed esercizi commerciali udinesi proprio nel fine settimana di apertura della mostra.
La mostra «Insieme», nell’allestimento che si estende in nove sale espositive al secondo piano di Casa Cavazzini, fa riscoprire le quattro esperienze fondamentali di contatto della vita: con se stessi, con l’altro, con il Creato e con Dio. Questa speciale missione, che l’esposizione intende compiere, emerge già considerando le sezioni con cui «Insieme» presenta le opere di sala in sala: arte e relazioni; solitudini; amore; sangue; prossimità; conflitti, il cielo; smarrirsi; ritrovarsi. Già lette in sequenza, queste parole costituiscono un discorso, la proposta di un viaggio interiore.
Per un terzo costituita da opere italiane e per due terzi da dipinti provenienti dall’estero e in genere mai esposti in Italia, la mostra coinvolge musei e collezionisti di otto paesi d’Europa (Austria, Croazia, Francia, Italia, Polonia, Spagna, UK e Ungheria), grazie alla collaborazione, fra gli altri, del Belvedere di Vienna, del Petit Palais e del Musée Carnavalet di Parigi, ma anche di Palazzo Pitti a Firenze e del MART di Rovereto, della Royal Academy of Arts di Londra e del Teatre Museu Dalí di Figueres. Le 55 opere esposte – tra le quali anche due sculture – rappresentano la ricchezza variegata delle strade prese dall’arte occidentale tra il 1851 e il 1992, gustando l’eleganza dei Preraffaelliti e di diversi esempi di raffinato Realismo, lascia spazio alle suggestioni del Surrealismo, dell’Espressionismo, del Simbolismo e dell’Astrazione. Nell’elenco degli autori emergono per importanza le firme di John Everett Millais, Franz von Stuck, Vasilij Kandinskij, Salvador Dalí, Alberto Savinio de Chirico, Renato Guttuso, Michelangelo Pistoletto, Giuliano Vangi, Gianfranco Ferroni, Tibor Csernus, e anche del friulano Mirko Basaldella – autore di un dipinto mai esposto nella sua storia, che la mostra di Casa Cavazzini ha l’onore di proporre al pubblico nella città d’origine dell’artista –.
La meditazione su distanze, solitudini, misteri, prende le mosse dal genio di Salvador Dalí, nella sua raffinata opera Dalí visto di spalle dipinge Gala vista di spalle eternizzata da sei cornee virtuali provvisoriamente riflesse da sei veri specchi. Salvador Dalí cita idealmente Velàzquez, ritraendo Gala e se stesso in un intreccio di domande, nostalgie, conoscenza profonda e ignoranza inevitabile, amore struggente e inafferrabilità fatale. L’arte, sembra dirci, fa vedere quel che possiamo vedere e fa vedere ancor più acutamente quel che non riusciamo a vedere ancora. Verrà il momento in cui senza specchio ci vedremo negli occhi?
La mostra inizia con l’opera di Dalí e verso la sua conclusione, nella sezione intitolata “Smarrirsi” – uno dei due possibili esiti che abbiamo davanti –, ritorna sul senso di distanza davanti al potente e piccolo dipinto di Gianfranco Ferroni, Interno lettino disfatto, capace di ipnotizzarci mettendo in scena quasi nulla, eppure rendendo benissimo il senso dell’attesa che qualcosa accada, di fronte a quel letto sfatto e abbandonato, quasi segno di quanto la vita sia progressivamente piena di vuoti.
La narrazione del legame d’amore, dell’attrazione reciproca ma anche degli ostacoli che deve superare, si racchiude in modo incantevole in uno dei grandi capolavori che la mostra propone: quello di uno dei massimi artisti dell’Inghilterra vittoriana, membro della schiera dei cosiddetti Preraffaelliti, John Everett Millais, La figlia del boscaiolo: è la testimonianza delicata dell’amore innocente e impossibile tra la figlia di un taglialegna e il figlio del ricco proprietario terriero locale. La poesia si fa denuncia, in un istante, perché nessuna disuguaglianza deve permettersi di impedire l’amore. È nella stessa sezione, tra le altre, la tela di Karl Borschke, La fonte della vita, affine all’arte di Gustav Klimt, che rovescia la classica iconografia della Pietà mostrando il corpo femminile come centro di una vita che fiorisce e che accoglie e benedice l’uomo, lasciandosi alle spalle la cultura della prevaricazione del maschile sul femminile.
Si deve poi considerare i dipinti che in mostra ci fanno ripensare a come fin dall’infanzia siamo invitati ad allargare il cerchio della nostra fraternità, includendo da subito gli amici del cuore, la scuola e i giochi spensierati, ma anche le creature dei boschi, dei prati e del cortile di casa, nostri confidenti di tanti segreti e nostri fedelissimi e teneri alleati – basti pensare al dipinto di Charles Burton Barber, Un difensore speciale –.
Non mancano poi pitture epiche, che rammentano movimenti sociali, battaglie di riscatto di gente povera ma tenace – tra le opere, fortissima o quasi violenta quella di Renato Guttuso, Le donne degli zolfatari di Lercara durante uno sciopero –, o assembramenti vissuti per la condivisione di grandi valori o di semplici momenti di letizia, magari attorno a chi sa imbracciare, in casa, uno strumento, facendo cantare l’intera compagnia.
E infine la mostra conduce sull’orlo tra la terra e il cielo, dove l’uomo avverte l’anelito alla trascendenza e il timore di un silenzio senza Qualcuno. Dall’Ebreo in preghiera del polacco Aleksander Grodzicki alla toccante vicinanza del Dio bambino adorato dai coloratissimi Tre re Magi nel dipinto di George Spencer Watson, diverse opere sono testimonianze di chi ha vissuto in contatto con l’Assoluto. Per contro, la lotta dell’angelo con Giacobbe, o l’urlo straziante di un innamorato che ha perduto per sempre la donna del suo cuore, come nell’imponente dipinto di Sir William Blake Richmond, Orfeo di ritorno dalle tenebre, presentano onestamente la conflittualità nel rapporto tra l’uomo e Dio, o la possibilità di non sentirlo, di non scorgere tracce di una sua reale presenza.
Ma l’ultima parola della mostra è il Girotondo carico di gioia dipinto da Franz von Stuck, autore spesso cupo nelle sue opere e invece, questa volta, straordinariamente luminoso, quasi testimone resistente e appassionato della speranza umana di trovare, pazientemente, la via di una armonia possibile con tutti e con tutto, finalmente serena, finalmente eterna.
Come attori, tutte le opere esposte nella mostra «Insieme» trasformeranno insomma le sale di Casa Cavazzini, il Museo di Arte Moderna e Contemporanea nel centro di Udine, in un dramma teatrale intenso, dedicato alla condizione umana, in particolare a quei legami che fanno vivere, alla passione con cui tentiamo di superare solitudini e distanze.
Come il titolo suggerisce, la mostra è una meditazione d’arte per passare da un uomo smarrito nell’incomunicabilità a un uomo ritrovato nell’intersoggettività. L’arte dell’Ottocento e del Novecento torna assai spesso sul fatto che l’essere umano fatica a trovare la via d’uscita dalla prospettiva dell’individualismo strutturale, dell’egocentrismo metodico, delle filosofie del soggetto, dalla visione insomma di una reciproca estraneità o addirittura ostilità universale. Sembriamo tutti enigmatici, tutti distanti, tutti concorrenti. L’Ottocento ipotizzava che fosse morto Dio, ma nel Novecento a scomparire, spesso, è il prossimo. L’arte ha frequentemente commentato questa deriva, lo smarrimento progressivo delle persone o la percezione di una prigionia dell’io dentro un perimetro da cui è difficile uscire davvero e dentro il quale è difficile accogliere davvero. Così raccontano non soltanto dipinti e sculture, ma anche tante pagine di grande letteratura: Proust, Joyce, Kafka, Sartre, Godot, Svevo, Pirandello sono il parallelo di quel che accade in molti quadri dipinti dalla metà dell’Ottocento in avanti, dove vediamo frequentemente esseri che rivolgono lo sguardo verso una direzione sempre diversa da quella di un possibile interlocutore, noi compresi, o scene immobili, rese con colori vivaci ma volutamente privi di calore, che fanno respirare un’aria di attesa o di assenza.
Nel cammino verso gli astrattismi, poi, la modernità tende sempre più a esprimere l’autocoscienza dell’uomo o la sua percezione del carattere enigmatico della realtà stessa, quasi che anche la comunicazione tra le cose e l’uomo soffra di un deficit di intesa. Si riduce notevolmente lo spazio per i fenomeni sensibili e la riproduzione delle loro apparenze. Si abbandona, spesso, la funzione figurativa della pittura e della scultura per concentrare piuttosto le energie dell’arte in uno sforzo autoanalitico, quasi psicanalitico, capace di mostrarci scenari simili a quelli dell’inconscio, a volte evocativi e attraversati da un simbolismo onirico e fiabesco, a volte pervasi da inquietudini e nostalgie. Torna, in fondo, la domanda di Leopardi: «Che vuol dir questa / solitudine immensa? Ed io che sono?», quella domanda posta dal poeta sulle labbra del pastore errante dell’Asia. È la domanda di sempre dell’essere umano. L’uomo sperimenta una vastità interiore, un senso di unicità rispetto a tutto quel che ci sta attorno, quasi un senso di stranezza.
L’uomo di fronte all’universo un po’ si sente solo, di fronte allo sguardo dell’altro un po’ si sente nudo. Ci tenderemo la mano o ci volteremo le spalle?
E qui si apre l’altro scenario, che la mostra «Insieme» documenta ampiamente: l’arte tra Ottocento e Novecento ha spesso manifestato l’insopprimibile anelito dell’essere umano a stabilire legami, a riconoscersi nell’altro, a vivere per la comunione, seppur con mille limiti. Dopo la stagione del razionalismo illuministico, che ha avuto il suo correlativo formale ed estetico nella perfezione levigata dal Neoclassicismo, quasi per contraccolpo la cultura dell’Occidente viene attraversata da un fremito romantico che ricolloca prepotentemente al centro dell’attenzione il tema delle grandi passioni, interpersonali e collettive: il sentimento d’amore, l’amicizia, il sentimento patriottico e quello sociale, corporativo. Così dal Romanticismo fino ai nostri giorni si snoda un percorso d’arte che testimonia quanto profondamente siamo interconnessi. L’antico invito del “conosci te stesso” viene compreso in modo nuovo e non più in chiave solitaria, ma in una ritrovata prossimità: nessuno conosce se stesso e il mondo se non a partire dai riconoscimenti o dai non riconoscimenti sperimentati nella sua vita di relazione. Così si legge in molti dipinti, che la mostra presenta, così si legge in molte pagine di letteratura e filosofia, come in Emmanuel Mounier, Jacques Maritain, Jurgen Habermas, Paul Ricoeur.