Commercio a Udine: persa un’insegna su cinque in centro storico dal 2012
Da Pozzo: «Il terziario rimane centrale, ma paga mancata programmazione urbanistica, burocrazia e pressione fiscale»
Indagine Ufficio Studi Confcommercio
In un contesto internazionale di perdurante difficoltà, con le guerre dopo gli anni della pandemia, anche Udine segna una progressiva diminuzione delle insegne. Stando ai dati dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane di Confcommercio nazionale (la fotografia sul 2023 è al mese di giugno), dal 2012 al 2023 il calo è del 20% nel commercio al dettaglio del centro storico (da 564 a 448 imprese, -116) e del 15% nell’area non centrale (da 403 a 343, -60). L’impatto della crisi è meno rilevante sui dati di alberghi, bar e ristoranti: in centro storico si passa da 358 a 343 (-4%), mentre fuori dal centro c’è un incremento da 235 a 244 (+4%).
Quanto al raffronto tra il 2019 e il 2023, gli anni del Covid e del post Covid, il trend all’ingiù rimane evidente sul commercio, che segna -50 imprese in centro storico e -12 fuori dal centro, mentre su pubblici esercizi e ricettività siamo a -30 insegne in centro e a -14 in periferia.
«Le difficoltà del terziario, che rimane peraltro settore centrale nell’economia cittadina, se pensiamo agli oltre 11.500 lavoratori a Udine nel commercio e nell’ospitalità – è il commento del vicepresidente nazionale di Confcommercio e provinciale di Udine Giovanni Da Pozzo –, emergono quando manca una programmazione urbanistica che sia coerente con le dimensioni della città. La sempre più consolidata abitudine agli acquisti online ha indubbiamente aumentato in certi settori la desertificazione, ma non dimentichiamo anche il peso delle incombenze burocratiche e gli insostenibili costi della fiscalità sia nazionale che locale».
«La situazione rimane di sofferenza – aggiunge il presidente del mandamento di Confcommercio Udine Giuseppe Pavan – ed è conseguenza della riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. Nell’attesa che possa dare i suoi frutti l’iniziativa dei Distretti del commercio, come pure la riforma il cui iter è partito in settimana con la presentazione dell’assessore Bini, la nostra associazione continuerà a lavorare sui tavoli istituzionali perché si creino le condizioni migliori per fare impresa in città. Di certo, si deve insistere nella ricerca di una nuova capacità di pianificazione, meno burocratica, per dare risposte alle esigenze contingenti e arginare la perdita di funzioni della città».
L’OSSERVATORIO
L’Osservatorio della demografia d’impresa è un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio sui cambiamenti del commercio e delle imprese nelle città italiane negli ultimi dieci anni, con particolare riguardo ai centri storici. La nona edizione arriva in una fase che ha visto superare il picco della crisi dovuta alla pandemia e alla stagnazione dei consumi, ma che si confronta oggi con nuove emergenze.
Con il contributo del Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne (che fornisce i dati di base) sono osservati 120 comuni medio-grandi, di cui 110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi di media dimensione; sono escluse le città di Milano, Napoli e Roma perché multicentriche e non è possibile la distinzione tra centro storico e non centro storico.
Da quanto emerge, tra il 2012 e il 2023, in Italia, sono spariti oltre 111mila negozi al dettaglio e 24mila attività di commercio ambulante; sono cresciute solo le attività di alloggio e ristorazione (+9.800). Nello stesso periodo, nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi si riducono le imprese italiane (-8,4%) e aumentano quelle straniere (+30,1%). E metà della nuova occupazione straniera nell’intera economia (+242mila) è proprio in questi settori (+120mila). Nei centri storici chiudono più negozi che nelle periferie, si riducono le attività tradizionali e aumentano i servizi.