Il jazz non ha la camicia nera e non ha la maglietta del Che. La politica lasciamola fuori, per una volta
“È nefando e ingiurioso per la tradizione, e quindi per la stirpe, riportare in soffitta violini, mandolini e chitarre per dare fiato ai sassofoni e percuotere timpani secondo barbare melodie che vivono soltanto per le effemeridi della moda! È stupido, è ridicolo, è antifascista andare in solluchero per le danze ombelicali di una mulatta o accorrere come babbei a ogni americanata d’oltre oceano!”
Il Popolo d’Italia 30 marzo 1938
Il jazz arrivò in Italia durante la Grande Guerra. Merito dei soldati americani che lo suonavano per distrarsi e trovare sollievo dalle atrocità del conflitto. Una musica per evadere dall’inferno, una musica che poi da lì si diffuse negli anni trenta attraverso i film americani e che, fin da subito, riuscì a conquistare il pubblico italiano.
Cercando un po’ di informazioni, ho trovato che in Italia si formarono in quel periodo grandi orchestre jazz, dalla Blue Star di Pippo Barzizza all’Orchestra Angelini, e che i giovani riempivano le sale da ballo per divertirsi al suon di questa musica moderna e rivoluzionaria.
Poi arrivò il Fascismo. Durante il periodo fascista gli organi di controllo del partito di Mussolini non solo si occuparono della stampa, di film, di libri e di pièce teatrali, ma si accanirono anche sul jazz, musica proveniente d’oltreoceano, e sulle canzoni italiane di quei tempi. L’Eiar lo definì “musica negroide”, poi “musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide”. Il “giazzo“, come veniva chiamato allora, era bandito, i locali che lo suonavano venivano chiusi con una certa violenza, e le persone che ne promuovevano la diffusione venivano spesso “intimate” a smettere di farlo.
Il motivo di questa dura opposizione non è collegabile al fatto che alle camice nere il jazz non piaceva, anzi (Romano, l’ultimo figlio maschio di casa Mussolini, è stato un grande pianista jazz). Molti fascisti si opposero al jazz perché ai tempi , quando l’autarchia spopolava, accettare una musica di origine non italiana significava cedere sul piano della supremazia della patria.
Da quella volta però l’Italia di strada ne ha fatta. Una strada che si è sempre dipinta di democrazia, di libertà. Arrivo al punto. Perché una manifestazione jazz, nel 2018, circa novant’anni dopo l’autarchia fascista, afferma di non voler più collaborare con Udine perché “l’amministrazione comunale in carica da qualche giorno ha chiesto i voti dei neofascisti e li ottenuti per vincere”.
Fascisti? Da quando a Udine è tornato il fascismo? Ho paura di essermi perso qualche passaggio. Non voglio credere che oggi, quando non c’è più ragione di arroccarsi dietro ideologie fallite e condannate da tempi immemori, una manifestazione non venga fatta per via del fascismo, anzi in questo caso dell’antifascsimo. E questo che fa una società aperta e democratica? Una posizione fascista dell’antifascismo, sembra un gioco di parole.
Politica a parte, più che altro mi sembrano i bisticci tra bambini. “Pietro, visto che hai vinto tu io allora me ne vado via e così impari e la prossima volta perdi”.
Ma la musica non è fascista, non è comunista, è musica. A perdere non è Fontanini, non è la sua giunta, non è nemmeno chi organizza Udine&Jazz ma Udine stessa. Perché questa città ha bisogno di eventi, ha bisogno di cultura e di passioni. Se i vecchi (di spirito e di idee, passatemi il termine), ancora si perdono dietro queste ripicche ideologiche, sono sicuro che i giovani se ne fregano altamente. Perché chi vota destra volentieri sente il concertone del primo maggio (e magari ci fosse nella nostra città), come chi vota sinistra ha piacere a venire a Udine a sentirsi un cantante jazz suonare anche se la giunta comunale che appoggia l’evento è leghista.
Il jazz non ha la camicia nera e non ha la maglietta del Che. Il Jazz è espressione di libertà, è arte. La politica lasciamola fuori, per una volta.