Cjacarâ furlan
A tu per tu con William Cisilino, direttore dell’ARLeF
Cosa può salvaguardare una cultura se non la sua propria lingua? Lo stesso valore di un termine, il numero dei suoi sinonimi, la sua presenza/assenza nel vocabolario, ogni sua lettera, vocali e consonanti, tutto può parlarci di un popolo, dei suoi costumi, delle sue tradizioni, dei suoi valori. E questo era il pensiero di un grande cultore della lingua friulana, Pierpaolo Pasolini, che da ottimo scrittore qual era amava perfino il suo suono, il suo ritmo. Dal ’99 è in vigore una legge per il riconoscimento del Friulano come lingua, sottolineiamo lingua e non dialetto, minoritaria, in applicazione del principio dell’art. 6 della Costituzione (‘La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche’). Ma di questa lingua, che caratterizza la nostra cultura e la nostra terra, che uso facciamo? Ne abbiamo parlato con William Cisilino, direttore dell’Agenzia regionale per la lingua friulana.
Quanti e chi sono (se sono più gli anziani o i giovani per esempio) i parlanti della lingua friulana? I numeri sono in regressione rispetto al passato? “Secondo l’ultima indagine sociolinguistica realizzata dall’ARLeF, in Friuli risiedono 600.000 parlanti: 420.000 lo fanno regolarmente, 180.000 occasionalmente. Rappresentano circa il 60% dei friulani. I numeri, purtroppo, sono in regressione. Questo è un fenomeno che si registra già da oltre trent’anni, ma la perdita del numero di parlanti si è ridotta percentualmente rispetto a quanto accadeva fino agli anni 2000, passando dall’1% all’attuale 0,64% annuo. Il vero problema, però, è l’età media molto alta dei parlanti: 53 anni. Dalla ricerca emerge tuttavia un fenomeno interessante: i giovani (18-29 anni) parlano maggiormente il friulano rispetto alla generazione immediatamente precedente (30-40 anni)”. Nelle famiglie d’oggi si parla ancora friulano? Ai bambini viene insegnata questa lingua? “Secondo la nostra ricerca, solo il 28,2% dei genitori parla in friulano ai propri figli. Se poi teniamo conto anche di chi ha risposto che utilizza “entrambe” le lingue (italiano e friulano), la percentuale sale al 55,9%. In ogni caso, queste percentuali sono ritenute dall’UNESCO troppo basse e pongono il friulano nella triste lista delle lingue in pericolo di estinzione. L’UNESCO, infatti, per determinare se una lingua è in pericolo, e qual è il grado dello stesso, focalizza l’attenzione sulla trasmissione genitori-figli. Da questo punto di vista, il friulano non è messo bene. Anche se c’è un paradosso”. Quale? “Una così scarsa trasmissione intergenerazionale, cozza con quella che è la volontà espressa dai friulani, quando sono intervistati. Infatti la stragrande maggioranza del campione ritiene sia giusto che i genitori parlanti attivi insegnino la lingua ai propri figli: l’87%. Di primo acchito ciò potrebbe sembrare una forma di schizofrenia, e forse per certi versi lo è. Ma ad una lettura più attenta si comprende semplicemente che la pressione sociale dell’italiano è talmente forte da travolgere anche le scelte finali dei parlanti. Avremmo bisogno di più forza di volontà, insomma, per combattere quel Moloch chiamato “monolinguismo italiano”.
In quale area geografica del Friuli è maggiormente diffusa la lingua? “La maggioranza dei parlanti si concentra nella ex provincia di Udine, dove a parlare regolarmente in lingua è il 57,6% della popolazione, cui si aggiunge un 19,6% di parlanti occasionali, per un complessivo 77,2% di uso attivo della lingua. Nell’ex provincia di Pordenone i parlanti regolari sono il 25,9% della popolazione, quelli occasionali il 15% (in totale il 40,9%). Nell’ex provincia di Gorizia i parlanti regolari sono il 21,5%, gli occasionali il 18,5%, per un complessivo 40% di popolazione. Come si vede, anche da un punto di vista linguistico, il Friuli non è solo l’ex provincia di Udine, come vogliono farci credere buona parte dei media regionali”. Se il parlato resiste, lo scritto è cosa per pochi. Come si può diffondere l’uso del friulano scritto? “Tanti dicono che è difficile scrivere e leggere in friulano, come se fosse una lingua di per sé complicata. Invece il problema è un altro: qualsiasi lingua, se non viene regolarmente insegnata a scuola e non è sufficientemente presente nei media scritti, diventa difficile. È il caso del friulano il quale, nel migliore dei casi, viene insegnato un’ora alla settimana nelle nostre scuole, per lo più con progettini che c’entrano poco con l’apprendimento del friulano scritto. Nessuna lingua si può approfondire in questo modo, anche se fosse la più semplice del mondo”.
Come si può tutelare, ma soprattutto stimolare veramente l’uso del friulano? “La storia ci insegna che c’è un unico modo per far vivere una lingua: usarla. Ciò significa che, come dice l’UNESCO, va parlata a casa, soprattutto con i figli. Ma, aggiunge l’UNESCO (assieme ai principali esperti di lingue a livello internazionale), nel mondo contemporaneo non possiamo pensare di salvare una lingua solo parlandola in casa. Essa deve essere utilizzata in ogni ambito sociale. In primis nelle scuole, dove va approfondita da un punto di vista linguistico, letterario e culturale. Ma, nondimeno, nei mass media, nelle nuove tecnologie, nella vita civile, nelle arti. Tutti ambiti dove il friulano è già presente, ma ancora troppo poco. L’ARLeF fa molto per promuovere il friulano in questi ambiti, ma non basta. Ogni friulano dovrebbe fare la sua parte e chiedersi: “cosa faccio, io, per dare un futuro alla nostra lingua?”. Limitarsi a delegare queste scelte alla scuola, alla Regione o all’ARLeF, significa sostanzialmente lavarsene le mani”.
In un mondo come quello attuale sempre più globalizzato la lingua friulana rischia di scomparire? “Tutte le lingue scompariranno, un giorno: anche l’italiano e l’inglese. Quello che conta è semmai l’apporto che una lingua può dare allo sviluppo della cultura umana. In questo momento storico, stiamo assistendo ad uno sterminio globale delle piccole lingue. È paradossale, però, che mentre ci dispiace per la perdita di una specie animale o vegetale, in generale restiamo indifferenti davanti alla perdita culturale causata dalla morte di un popolo o di una lingua, soprattutto se ci sono vicini. Come qui in Friuli, dove le stesse persone che si dicono sostenitrici del Tibet o delle culture native americane, sono spesso le prime a denigrare con fare beffardo le iniziative di tutela del friulano. Ma questo, forse, è anche il bello del friulano: un’uscita di sicurezza dal tunnel delle mode e del mainstream”.
Si è molto discusso sull’insegnamento del friulano nelle scuole. L’insegnamento obbligatorio pensa possa essere un modo per salvare la lingua? “La soluzione perfetta per la scuola sarebbe l’immersione linguistica, cioè l’insegnamento in friulano (ma non solo) della gran parte delle materie. Questo ha funzionato in realtà come il Paese basco e il Galles, dove si è invertito il trend negativo di perdita dei parlanti. Ma è necessario che la società friulana lo voglia, a incominciare dalla classe dirigente. E questo, al momento, non lo vedo possibile. Siamo troppo indietro”. Le lingue mutano nel tempo. Che sviluppo linguistico e glottologico (in linee generali) presenta il friulano? Come si confronta con le nuove lingue, come l’inglese? “Si sta andando verso una progressiva italianizzazione, e questo è un grosso danno. D’altro canto, non mi sembra che ci siano grandi scambi con l’inglese. Questo in Friuli. Nelle comunità emigrate presso paesi anglofoni, invece, il friulano è molto influenzato dall’inglese: ad esempio, l’automobile viene chiamata ‘cjar’ (come l’inglese ‘car’) e per dire che qualcosa non funziona si dice ‘cheste robe no lavore’ (sul modello di ‘this thing doesn’t work). Sono in generale due lingue che vanno molto d’accordo quando entrano in contatto”.
DIDASCALIA
foto di gruppo primo piano:
Conferenza regionale sulla lingua friulana, Udine, 1 – 2 dicembre 2017
da sinistra: Sietske Poepjes (Presidente dell’NPLD – Network to promote Linguistic Diversity – e Assessore alla Cultura della Regione della Frisia), William Cisilino (Direttore dell’ARLeF), Gregorio Ferreiro Fente (Vice Presidente dell’NPLD e Segretario Generale di Politica Linguistica della Comunità autonoma della Galizia), Elin Haf Gruffudd Jones (Docente alla Aberystwyth University del Galles).
Foto articolo direttore ARLeF – William Cisilino
Magazine mensile Il Paîs gente della nostra terra – agosto 2018