Itinerario carnico: Ovasta, preziosa perla della Val Degano
Ovasta è una piccola frazione del Comune di Ovaro che sorge a 745 m/slm sulla destra del fiume Degano che solca l’omonima valle. Vi risiedono circa 130 abitanti che sono soprannominati «mestàrs» ovvero «coloro che sono abili a preparare la mesta», una squisita pietanza tradizionale, originale di Ovasta fin da tempo immemorabile. Anche il conferire soprannomi agli abitanti dei paesi è un’usanza che proviene dal passato e si rifà alle caratteristiche peculiari di un luogo.
Così a Luincis gli abitanti sono detti “jotàrs” ovvero “mangiatori di jota”. A Mione vivono i “sopàrs”, “coloro che si nutrono di sopa”, cioè di zuppa. A Liariis ci sono i “cavociars”, i “produttori di zucche”. A Baùs, caseggiato sulla riva del fiume, i pochi abitanti son detti “ciàtars” che significa “zatterai”. A Cella, dove era in funzione una fornace per la produzione delle pianelle per ricoprire i tetti delle case, gli abitanti sono soprannominati “planelas”. A Ovaro, non si sa perché, abitano gli “scusòns” che significa “maggiolini”.
Questa consuetudine di affibbiare soprannomi è un simpatico campanilismo che vuol essere sinonimo di identità paesana.
Nella frazione di Ovasta sopravvive un antico regime amministrativo in quanto sussistono dei “beni frazionali”. Qui l’Amministrazione dei Beni frazionali di Ovasta gestisce autonomamente 220 ettari, tra superficie boschiva e terreni agricoli, di proprietà collettiva.
Attualmente il Presidente del Comitato di gestione è Cristian Timèus coadiuvato dai componenti Renzo Timèus, Devis Gortàn, Giuliano Rotter e Luca Timèus. I proventi della gestione del patrimonio collettivo vengono ridistribuiti per migliorare la frazione di Ovasta.
L’ex latteria è stata integrata e ristrutturata da questa Amministrazione e viene utilizzata per scopi sociali, per migliorare la coesione sociale e l’aspetto culturale del paese.
Proprio nell’ ex latteria, da due anni vengono organizzati i festeggiamenti paesani in occasione del Ferragosto.
Anche in quest’ultima edizione si è registrata una notevole partecipazione di abitanti residenti e di villeggianti. La festa è stata l’occasione per conoscersi meglio. Dal punto di vista etnologico invece è stato importante l’aspetto simbolico di aver riproposto la mesta, tipica polentina condita ovastana.
Alcune delle storiche ed esperte «mestare» hanno riproposto la mesta nella sua versione originale e tutti i partecipanti alla festa hanno potuto assaggiarla, con il compiacimento degli anziani del paese che così hanno visto tramandata ancora questa antica tradizione.
Il mais si diffuse in tutta Europa fin dal XVII secolo. Partendo dalla Spagna passò dai Balcani e arrivò fino al Caucaso e in Italia. Il mais e la farina che se ne ricava hanno rappresentato il nutrimento minimo e indispensabile per la sopravvivenza delle popolazioni soprattutto in momenti di difficoltà.
La preparazione della polenta in tutti i Paesi segue spesso lo stesso procedimento di cottura che prevede il far cuocere la farina gialla in acqua o in brodo e il condirla successivamente con latte, formaggio, burro. La polenta può accompagnare, se ne è data la possibilità, la carne, il pesce, intingoli e guazzetti.
In fondo poco è cambiato dalle originali «pultes» romane, polentine prodotte con farina di farro macinata grossa e spesso condite con latte, formaggio, carne di agnello, carne di maiale e salsa acida simile allo yogurt.
Il celebre gastronomo dell’antica Roma Apicio parla delle «pultes julianae», le polente friulane con granfarro (spelta), panico (Panicum italicum L.), latte e formaggio. Il Triticum spelta della puls romana non è altro che l’ “antenato” del grano tenero originato probabilmente 8.000 anni fa nell’ Asia sud – occidentale, nell’ area chiamata storicamente “Mezzaluna fertile” dall’incrocio tra la specie Triticum dicoccum e la Aegilops squarrosa.
La consuetudine dei romani di condire la polenta non si è mai interrotta e la troviamo anche oggi con alcune varianti. La mesta è una di queste varianti che si avvicina molto all’arcaica e originaria versione latina.
è importante ricordare che la preparazione della mesta, che la rende con ciò discendente diretta della puls romana, prevede la presenza di una piccola percentuale di farina di grano tenero mescolata con la farina di granoturco.
Qui mi fermo perché ho promesso alle «signore della mesta» di non rivelare le proporzioni tra le farine e altri segreti che fanno della mesta uno dei piatti tradizionali più squisiti della Carnia.
Scritto da Enrico Morandi
Magazine mensile IL PAÎS gente della nostra terra – settembre 2018