Apertura Domenicale: per riunire le famiglie non serve chiudere i negozi
Il tempo, si sa, è la cosa più preziosa che abbiamo. E la nostra società, sempre più frettolosa, ansiosa, perennemente di corsa e con una lista di impegni senza fine ha la giornata sempre piena. Ormai siamo afflitti dalla piaga della mancanza di tempo, non ne abbiamo per nulla, né per i nostri hobby né soprattutto per la nostra famiglia.
Quel poco che ci rimane oltre ad un lavoro, sempre più totalizzante e purtroppo sempre meno remunerativo, tra l’altro lo sprechiamo in cose inutili, inseguendo un materialismo spicciolo. Di tempo non ce ne è più nemmeno nei giorni di festa: la domenica non la si passa più in famiglia, non c’è più nemmeno la classica gita fuori porta, si lavora o al massimo ci si chiude nei centri commerciali, si va a caccia di offerte per prodotti che servono soltanto a calmare la nostra fame irreprensibile di cose. Siamo consumatori senz’anima, dominati da un capitalismo imperante. Si sono persi usi, tradizioni e valori che facevano parte di un’Italia che non più. Non ci si passa più del tempo in famiglia, manca coesione, senso di appartenere a qualcosa. Siamo singoli individui all’interno di una massa.
Ora la poltica punta il dito contro i negozi aperti anche nelle festività, pensando che questo sia il vero problema di questa perdita d’identità. In questo senso mi ritornano in mente le domeniche di quando ero bambino. Uscivo di casa la mattina con i miei genitori, una tappa all’edicola per il giornale e, magari, le figurine, poi con nonni in pasticceria a prendere le paste e a bere qualcosa in bar.
I negozi erano aperti, anche quindici, venti anni fa.
E non mi sembrava che il pasticciere, l’edicolante o il barista fossero insoddisfatti e frustrati per lavorare la domenica, d’altronde era il giorno in cui concentravano la metà del fatturato settimanale. Come loro poi lavoravano i ristoranti, quello di paese che durante la settimana era vuoto ma che la domenica faceva il pienone, il panificio, il negozio di fiori e pure qualche altro negozietto al dettaglio, senza parlare poi dei servizi essenziali, ospedali, carabinieri eccetera. Insomma il paese era vivo e poco c’entrava il fatto che i negozi erano aperti o chiusi, che si è costretti a lavorare nei festivi o meno. Era una questione di mentalità, il tempo veniva valorizzato: anche chi lavorava la domenica, abbassata all’una la serranda, correva a casa per ritrovarsi con la propria famiglia. Un periodo diverso, dove c’era più unione, dove si apprezzava molto di più lo stare assieme.
Tutto ciò per dire cosa?
Che la battaglia non deve essere fatta per l’abolizione del lavoro nei giorni festivi, una libera scelta tra l’altro, ma forse per la giusta retribuzione che tenga conto del disagio derivante dal lavorare mentre il resto delle persone in quel giorno riposano. Quella sì avrebbe senso. Inutile dire che per riunire le famiglie dobbiamo chiudere i negozi perché non è cosa vera.
La tutela della famiglia non passa da qua, al massimo possiamo parlare di tutela dei lavoratori maltratti non di riscoperta di principi e valori che non ci appartengono più.
Da magazine mensile il PAIS gente della nostra terra, ottobre c.a.