Esportazioni della provincia di Udine trend positivo, ma in decelerazione
Nei primi nove mesi del 2019 incremento tendenziale del 6% Una crescita tripla rispetto alla media Nordest e oltre il doppio del dato italiano – Udine vale il 44,4% del totale export regionale
Anna Mareschi Danieli: “Fiducia e investimenti sono le parole chiave per far ripartire l’industria manifatturiera”
Le esportazioni della provincia di Udine resistono alla fase di rallentamento della crescita globale, confermando il trend positivo, ma mostrano una decelerazione sia nei primi nove mesi dell’anno in corso rispetto allo stesso periodo del 2018, sia nel terzo trimestre del 2019 rispetto al primo semestre di questo anno.
Nel dettaglio, l’export udinese, secondo le elaborazioni dell’Ufficio Studi di Confindustria su dati Istat, nel terzo trimestre 2019 è cresciuto del +2,5% rispetto allo stesso trimestre del 2018, meno rispetto al primo semestre, quando si è registrato un aumento medio del +7,8% rispetto ai primi sei mesi dello scorso anno. Nel periodo gennaio-settembre 2019 le vendite all’estero hanno segnato un incremento tendenziale del +6%, inferiore alla variazione annotata nel 2018 rispetto al 2017, e pari al +10,4%.
“Nei primi nove mesi del 2019 – sottolinea Anna Mareschi Danieli, presidente di Confindustria Udine – le esportazioni della provincia di Udine hanno comunque registrato una crescita tripla rispetto della media del Nord Est (+1,9%) e oltre il doppio dell’Italia (+2,5%), passando da 4.450 a 4.719 milioni di euro. E la quota dell’export udinese su quella regionale (in FVG si è registrata una frenata nel periodo gennaio-settembre 2019, -7,2%, imputabile principalmente alla cantieristica; senza tale comparto si registra una crescita del +4,5%), si è attestata al 44,4%, superiore a quella delle altre province (Pordenone 27,9%, Trieste 20,5%, Gorizia 7,2%), ed in crescita rispetto al 2018 (38,8%)”.
La bilancia commerciale udinese si mantiene sempre positiva nei primi nove mesi, pari a 2.100 milioni di euro, in crescita del +25,4% rispetto allo scorso anno.
L’incremento delle esportazioni, nonostante il calo dei prodotti della metallurgia (-6,5%, da 1.342 a 1.254 milioni di euro), dei prodotti in metallo (-3,6%, da 460 a 444 milioni di euro), mobili (-3,7%, da 351 a 338 milioni di euro) ed elettronica e apparecchiature elettriche (-3,7%, da 304 a 293 milioni di euro), è dipeso dai risultati positivi dei macchinari (+37,3%, da 829 a 1.138 milioni di euro), prodotti alimentari (+3,7%, da 188 a 195 milioni di euro), articoli in gomma e materie plastiche (+6,8%, da 180 a 192 milioni di euro) e prodotti chimici (+9,2%, da 129 a 141 milioni di euro).
L’analisi per mercato di sbocco evidenzia che la Germania, primo paese di destinazione dell’export con una quota pari al 16,1% del totale (in calo rispetto al 2018, 17,8%), registra nel periodo gennaio–settembre una diminuzione del -3,9%, da 792 a 761 milioni di euro.
Seguono Stati Uniti (+31,6%, da 296 a 389 milioni di euro), Austria (-11,5%), Francia (+6,4%), Spagna (+16%) e Regno Unito (+4,7%). In forte aumento le esportazioni in Cina (+35,2%), grazie soprattutto al contributo delle vendite di macchinari.
“Pur in una congiuntura complicata degli scenari internazionali, connotati da dispute commerciali, dazi, sanzioni e dalla Brexit – commenta Anna Mareschi Danieli – si conferma la straordinaria propensione all’export delle nostre imprese, che riescono ancora a crescere sui mercati esteri. Queste ottime performance, però, non riescono a compensare l’arretramento della produzione industriale, che quest’anno è destinata a chiudere in negativo, per la prima volta dal 2013”.
“Fiducia e investimenti. Sono queste – afferma la presidente di Confindustria Udine – le componenti chiave per far ripartire l’industria, la manifattura in particolare. Il mondo rallenta, ma l’Italia è ferma. E’ ferma da troppo tempo e non si vedono segnali in grado di invertire questo stallo. Bisogna capire che, per poterla distribuire, la ricchezza va prima creata. E in questo Paese è indiscutibilmente l’industria a creare valore. Se riparte la manifattura si crea lavoro, aumentano i consumi, cresce il gettito fiscale e si rimette in moto un circolo economico virtuoso. Non è una missione impossibile, a patto che ci sia la consapevolezza e la voglia di farlo. Oggi non vediamo né l’una, né l’altra. Non vediamo politiche industriali degne di questo nome. Si cerca di distribuire quel poco che c’è, ma non si pensa a creare valore, non si pensa al futuro. Abbiamo bisogno di una politica capace di guardare avanti e di dare stabilità e fiducia. L’incertezza è nemica degli investimenti. Senza investimenti tutto si ferma e il Paese, inevitabilmente, si impoverisce”.